Page 937 - Shakespeare - Vol. 3
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risolutrice (364 sgg.), non più ipocrita, che acquista persino toni di dignità («I
          am  sorry  that  such  sorrow  I  procure»,  471  sgg.)  quando  invoca  la  morte,
          confermando, per una volta, la genuinità di quanto aveva preannunciato in II,
          i, 30.

          Il linguaggio più “equivoco”, per efficacia drammatica, s’intende, è quello di
          Isabella:  tutta  rigidità,  purezza  e restraint  (ma  genuinamente,  non
          ipocritamente)  anche  lei,  il  suo  linguaggio  esprime  e  ottiene  il  contrario  di
          quanto  si  propone,  perché  anche  in  lei  operano  evidentemente,  a  livello

          inconscio, pulsioni di contraria natura; e nel suo caso, è proprio il linguaggio
          che  usa  a  rivelarlo.  Il  suo  buon  senso  eccita  i  sensi;  tutte  le  volte  che  si
          confronta con Angelo, lo si è visto, i suoi discorsi appaiono intrisi di allusioni e
          immagini sensuali e sessuali (basta ricordare II, ii, 67 e 146, II, iv, 31, il già

          citato «were I under the terms of death...» e II, iv, 130-134).
          Anche  Isabella  davanti  ad  Angelo  si  spoglia  per  così  dire  attraverso  il
          linguaggio  inconscio,  in  cui  si  annida  lo  stimolo  diretto  alla  tentazione,
          quell’esca come infilata nelle parole d’una santa, che le farà riconoscere la

          propria involontaria “provocazione” di Angelo («I partly think / A due sincerity
          govern’d his deeds / Till he did look on me», V, i, 442-444), e che costituisce
          l’unica possibile giustificazione “mondana” della clemenza mostrata verso di
          lui nell’anti-climax finale. Che il linguaggio riveli le pulsioni profonde del suo

          animo si esplicita negli scoppi d’ira verso Angelo (II, iv, 148-153) ed il fratello
          (III, i, 137-138): lei che ha il già ricordato «prone and speechless dialect» (I,
          ii,  178),  che  all’inizio  di I,  ii,  parla  a  freddo,  brusca  e  repentina,  sa  poi
          “muovere gli uomini” ed esplodere in forme incontrollate. Del resto, scherza

          anche  lei  con  Angelo,  in  vere  e  proprie  schermaglie  legalistiche,
          equivocations,  giochi  di  parole  e  fraintendimenti,  e  si  fa  cogliere  in
          contraddizione (II,  iv,  114-129),  a  riprova  che  nel  linguaggio  di  quasi  tutti
          questi  personaggi  si  annida  direttamente  o  indirettamente,  consapevole  o

          inconsapevole, un tratto di ambiguità.
          Anche  quello  del  linguaggio  dei  protagonisti  appare  insomma  un  circolo  in
          ogni  senso  vizioso  −  eccetto  quello  di  Giulietta  e  Claudio  (che  esprime  la
          normalità dei giovani verso l’amore e la vita, e che umanamente si incrina di

          fronte alla paura della morte, III, i, 119 sgg.). E lo ribadisce il linguaggio di
          lenoni e mezzane, del mondo basso, tutto fatto di scurrilità e compiacenze
          sessuali, che ha due importanti funzioni drammatiche.
          La  prima  è  di  rappresentare  una  corruzione  dichiarata,  accettata  e  persino

          sbandierata per quel che è (il timore di Madama Sfondata di essere «custom-
          shrunk», I, ii, 82; il continuo richiamo ai bordelli e alle malattie veneree), di
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