Page 933 - Shakespeare - Vol. 3
P. 933

ma  come  figura  di  sofferenza/insofferenza  che  deve  arrendersi  alla
          complessità della propria natura proprio per il riconoscimento che anche in lei
          l’inflessibilità  esteriore  non  corrisponde  alle  pulsioni  interiori,  e  in  parte
          maschera ciò che agita il subconscio.

          Sul  piano  dell’azione,  potremmo  dire  allora,  lei  e  Angelo  sono
          conseguentemente  condotti  dall’“assoluto”  allo  smarrimento  e  alla
          tentazione,  e  da  questi  al  possibilismo;  dal  conclamato  distacco  dalla  vita
          (l’ascetismo,  il  convento)  alla  partecipazione  alla  vita,  dall’astinenza  al

          coinvolgimento. In tale prospettiva, si capirebbe come nell’azione “salvifica”
          del Duca entrambi debbano essere indirizzati al matrimonio non tanto come
          remedium concupiscentiae, quanto come esito naturale per uomo e donna −
          e  infatti  anche  in  tal  senso  è  stata  interpretata  la  discussa  e  discutibile

          conclusione  del  dramma:  un’esaltazione  del  valore  del  matrimonio  (il
          “comandamento  di  Adamo”),  secondo  i  principi  dell’epoca,  della  corte  e
          dell’etica protestante, che Shakespeare mostra ad esempio di far suoi nei ben
          noti  Sonetti  matrimoniali.  Angelo  e  Isabella,  che  incarnano  il  nucleo

          drammatico  ed  esistenziale  del  dramma,  lo  apprendono  a  caro  prezzo:
          entrambi sono in diverso modo e misura “sorpresi dal peccato” e dalla sua
          forza travolgente: onde la possibile legittimità di un acquietamento finale. Nel
          caso  di  Isabella,  che  alla  proposta  di  matrimonio  del  Duca  resta

          comprensibilmente  muta  (perché  allibita?  −  e  ne  avrebbe  ben  ragione),  la
          soluzione  è  per  così  dire  sospesa;  nel  caso  di  Angelo  si  è  persino  potuto
          sostenere che la sua è quasi una felix culpa: l’abisso del peccato come via per
          la  salvezza.  Per  questo  il  Duca  salverebbe  anche  lui,  violando  la  giustizia

          poetica in nome di superiori ragioni. Resta il fatto che questi comprimari sono
          e agiscono come personaggi duplici e divisi: Isabella è fra l’altro divisa anche
          nei riguardi del fratello Claudio e della povera Mariana; Angelo è diviso da
          tutti, e da se stesso; il Duca mostra tratti di schizofrenia, e in ogni caso i suoi

          vari attributi non si amalgamano.
          Meno  laceranti  o  problematiche  sono  le  tensioni  degli  altri  personaggi:
          Claudio  e  Giulietta  sono  gli  unici  a  rappresentare  una  sessualità  normale,
          esaltata  da  Lucio,  ma  aborrita  dagli  altri  (Duca  e  Isabella  compresi),  e

          figurano  infatti  in  posizione  secondaria  nella  dinamica  drammatica.  Claudio
          ha  le  parole  più  spoglie  e  scarne  sull’eccesso  e  l’arbitrio  dell’autorità  (I,  ii,
          120-121  e  166:  «on  whom  it  will,  it  will;  /  On  whom  it  will  not,  so»;  «’tis
          surely  for  a  name»  −  mentre  quelle  di  Isabella  e  del  Duca  sono  più

          appassionate  e  argomentate:  cfr.  II,  ii,  118-124  e IV,  i,  58-63).  Lui  che
          dovrebbe essere «absolute for death» dapprima si rassegna, ma poi si ribella
   928   929   930   931   932   933   934   935   936   937   938