Page 840 - Shakespeare - Vol. 2
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California Press, 1979; J.A. Porter, The Drama of Speech Acts: Shakespeare’s
Lancastrian Tetralogy, ivi, 1979; L.S. Champion, Perspective in Shakespeare’s
English Histories, Athens, Univ. of Georgia Press, 1980; S. Greenblatt,
Invisible Bullets, in J. Dollimore e A. Sinfield (a cura di), Political
Shakespeare, Ithaca, Cornell Univ. Press, 1985. Molti di questi studi trattano i
rapporti fra le Histories e l’ideologia Tudor, giungendo a conclusioni non di
rado divergenti.
Sullo sfondo carnevalesco della Parte II è utile W. Kaiser, Praisers of Folly:
Erasmus, Rabelais, Shakespeare (London, Gollancz, 1964). Alcuni giudizi acuti
e ricche illustrazioni offre M. Hussey in The World of Shakespeare and His
Contemporaries, London, Heinemann, 1971. Per i doppi sensi osceni frequenti
nel testo si consulti E. Partridge, Shakespeare’s Bawdy, London, Routledge,
1968. Questi doppi sensi sono spesso basati sulla pronuncia elisabettiana,
diversa da quella attuale, per cui si veda H. Kökeritz, Shakespeare’s
Pronunciation, New Haven, Yale Univ. Press, 1953. Vari critici sottolineano
analogie fra la Parte II e la commedia degli umori di Ben Jonson (Every Man
in His Humour, 1598), «ad esempio nell’uso di nomi significativi per i
personaggi minori, e della commedia come strumento di satira sociale
generale e di descrizioni e ritratti realistici» (R.P. Cowl, cit. New Variorum, p.
578). Sul nodo del rapporto fra Falstaff e il Principe la critica è divisa fra i
sostenitori dell’equità e generosità del comportamento di Hal nei confronti del
vecchio compagno (Wilson, Tillyard), nonché dell’approvazione indubbia e
l’ilarità che il ripudio avrebbe suscitato nello spettatore elisabettiano (A.J.F.
Collins, G.F. Bradby), e i più numerosi detrattori di Hal, il principale dei quali
è A.C. Bradley, autore del celebre saggio The Rejection of Falstaff, in Oxford
Lectures on Poetry (1909, rist. Charlottesville, Va., Ibis, s.d.), pp. 247-275.
Bradley, dopo aver accusato Shakespeare di avere già «degradato» Falstaff a
mero buffone farsesco in The Merry Wives of Windsor, pone modernamente la
questione del ripudio in termini di reader-response, della reazione del lettore-
spettatore: «Perché Shakespeare ha terminato il suo dramma con una scena
che, per quanto indubbiamente colpisca, ci lascia un’impressione tanto
sgradevole? Oso mettere da parte senza discuterla l’idea che egli volesse che
nei due drammi noi considerassimo Falstaff con disgusto e indignazione,
sicché naturalmente non proviamo altro che piacere alla sua caduta, ché
quest’idea implica quell’incapacità di comprendere Shakespeare con cui è
inutile discutere. E c’è un’altra idea molto più ingegnosa da rifiutare come
impossibile. Secondo questa spiegazione, Falstaff, udito il discorso del Re,
non sperava sul serio di essere da lui chiamato in privato, e stava solo