Page 841 - Shakespeare - Vol. 2
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ingannando Shallow; e nella sua immediata battuta a Shallow quando il Re
          esce,  “Messer  Shallow,  vi  debbo  mille  sterline”,  dobbiamo  vedere  la  sua
          superiorità umoristica a ogni rovescio, così che terminiamo il dramma con il
          sentimento  piacevole  che,  mentre  Henry  ha  fatto  ciò  che  doveva  fare,

          Falstaff,  nella  sua  caduta  esteriore,  si  è  ancora  una  volta  dimostrato
          invincibile.  Questo  suggerimento  [...]  non  fornisce  una  soluzione  perché
          ignora  e  non  può  giustificare  ciò  che  segue  lo  scambio  con  Shallow.  La
          condanna di Falstaff alla Fleet, e la sua morte successiva, dimostrano senza

          dubbio  che  Shakespeare  intendeva  che  il  ripudio  venisse  preso  come  una
          catastrofe  che  nemmeno  l’umorismo  gli  permetteva  di  superare».  Bradley
          continua eloquentemente sostenendo che Henry «non aveva nessun diritto di
          rivolgersi  tutt’a  un  tratto  [a  Falstaff]  come  un  prete,  e  certo  era  insieme

          ingeneroso e insincero parlare degli amici come dei suoi “traviatori”, come se
          nei  giorni  di  Eastcheap  e  Gadshill  egli  fosse  stato  un  ragazzo  debole  e
          stupido. Abbiamo visto il suo carattere precedente, e sappiamo che egli non
          era niente di tutto ciò». Per Bradley, Hal è sempre un politico come il padre,

          sicché il suo comportamento è perfettamente logico. Shakespeare volle anche
          renderlo  perlomeno  accettabile  agli  spettatori  rivelando  nella Parte II  con
          sempre  maggiore  insistenza  i  lati  negativi  di  Falstaff,  che  sfrutta  l’ostessa,
          minaccia il Primo Giudice, si mangia in un boccone Shallow, ed è quasi un

          pericolo  nazionale  quando  afferma  che  è  ormai  padrone  delle  leggi  del
          reame. «Eppure tutti questi mezzi eccellenti falliscono. Provocano in noi un
          imbarazzo  momentaneo  [...]  ma  non  riescono  a  mutare  il  nostro
          atteggiamento da umoristico in serio, e la nostra simpatia in ripugnanza. E

          dovevano  fallire,  perché  Shakespeare  evitò  di  aggiungere  ad  essi  l’unico
          espediente che avrebbe garantito il successo. Se, nel procedere della Parte II,
          avesse  oscurato  l’umorismo  di  Falstaff  tanto  pesantemente  che  l’uomo  di
          genio  si  mutasse  nel  Falstaff  delle Merry  Wives,  avremmo  assistito  al  suo

          ripudio senza il minimo dolore. Questo però Shakespeare era troppo artista
          per farlo [...] Come ho detto, nella creazione di Falstaff egli andò oltre le sue
          intenzioni.»
          Questo Shakespeare che crea personaggi dotati di vita propria, che egli non

          può  perfettamente  controllare,  tornerà  ancora  nel  saggio  di  T.S.  Eliot  su
          Hamlet (1919, rist. in Selected Prose, London, Faber, 1975, pp. 45-49). Esso
          era  già  stato  intuito  dall’eccentrico  M.  Morgann,  nel  fondamentale Essay  in
          the  Dramatic  Character  of  Sir  John  Falstaff  (1777),  che  anticipa  le  geniali

          osservazioni di John Keats sulla «capacità negativa» di Shakespeare e giudica
          Falstaff «un personaggio tutto composto di incongruenze: insieme vecchio e
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