Page 815 - Shakespeare - Vol. 2
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135 III, ii, 32 Allusione all’episodio leggendario, riportato anche nei Famous Victories, dello schiaffo dato
                 dal Principe al Giudice supremo, che lo fece imprigionare.
            136 III,  ii,  39-59  «Vi  è  qui  altra  allusione  alla  debolezza  del  suo  diritto  al  trono  [...]  e  una  serie  di
                 considerazioni sul suo comportamento verso il popolo, in tre gruppi che iniziano (39, 46, 55) con un
                 richiamo alla sua riservatezza, e ne mostrano tre effetti diversi: 39-45, la sua elezione al trono; 46-
                 54, l’entusiasmo del popolo verso di lui; 55-59, l’imponenza che aveva il suo raro, regale apparire al
                 popolo. In tutto il discorso, specie 39-87, il Re capovolge la posizione del Principe quale era stata
                 posta da quest’ultimo in I, ii, 185-207. Il Principe voleva scomparire come Principe e divertirsi, per
                 poi meravigliare, riacquistando la sua personalità. Il Re non concepisce una separazione tra il Principe
                 e  il  giovane,  tra  regalità  e  umanità»  (Rota).  Va  peraltro  notato  che  anche  il  Principe  invocava  il
                 principio della rarità della rivelazione della sua vera natura come giustificazione della sua vita bassa.
                 Sicché padre e figlio praticano in modo diverso lo stesso sistema.
            137 III,  ii,  96  «Il  Re  stesso  stabilisce  il  paragone,  tra  la  situazione  che  doveva  affrontare  Riccardo
                 (ribellione di Bolingbroke) e quella che doveva affrontare egli stesso (ribellione di Percy)» (Rota).
            138 III, ii, 103 Come s’è visto (nota 6), lo Hotspur storico (nato nel 1364 ca.) era in realtà assai più
                 anziano del Principe (n. 1387).
            139 III, ii, 123 Nell’originale c’è un gioco di parole su dearest, “più caro”, e l’omofono direst, “più terribile”
                 (Wilson).
            140 III, ii, 152 Continua l’immagine di Hotspur come agente, fattore, cui Hal chiederà conto.
            141 III, ii, 164 È lo scozzese Conte di March consigliere del Re di cui scrive Holinshed. Shakespeare lo
                 chiama Mortimer per errore, rendendo ancor più facile confonderlo col ribelle.
            142 III, ii, 175 Sulla Severn, 21 miglia a sud-est di Shrewsbury.

            143 III, ii, 176 Pronuncia /glòsterscir/, trisillabo (cfr. nota 48).
            144 III,  ii,  180  Il  distico  ricorda  quello  citato  da  Holinshed  a  proposito  dei  preparativi  del  Re:  «Tolle
                 moras, nocuit semper differre paratis, / Dum trepidant nullo firmatae robore partes».
            145 III,  iii  Taverna  a  Eastcheap.  La  scena  è  così  articolata:  abbattimento  presunto  di  Falstaff,
                 motteggio sulla faccia di Bardolph (vedi II, iv, 300-311), lite con l’ostessa (qui chiamata per nome,
                 91), alterco amichevole col Principe che fa da giudice fra Falstaff e l’ostessa e finisce con il dovere
                 ammettere di essere stato lui a svuotare le tasche dell’amico, preparativi per la guerra in cui Falstaff
                 avrà un ruolo. Nell’ultima battuta del Principe la prosa cede ai versi. La conclusione tutta infervorata
                 contrasta  così  con  l’avvio,  anche  se  è  Falstaff  ad  avere  l’ultima  parola  con  il  suo  distico  a  rima
                 baciata.

            146 III,  iii,  2  «Falstaff  parla  [della  rapina  compiuta]  come  di  un’impresa  militare»  (Kittredge,  cit.  in
                 Humphreys). Si noti come il discorso di Falstaff sulla sua mole diminuita, e il suo stesso ingresso in
                 scena, riprenda con effetto comico la metafora conclusiva della scena precedente.

            147 III, iii, 17 Nell’originale è un gioco di parole su quarter, termine che da solo indica il quarto d’un anno,
                 ma al quale Falstaff aggiunge la specificazione inattesa: «d’ora».

            148 III, iii, 20 Nell’originale c’è un bisticcio su compass, che significa insieme “limite” e “cintola”.
            149 III,  iii,  27  Amadigi  era  detto  Cavaliere  della  Spada  Ardente.  «Se  tu  fossi  cavaliere  la  lampada
                 sarebbe  il  tuo  emblema»  (Shaaber).  Il  famoso  play  di  Beaumont  e  Fletcher,  The  Knight  of  the
                 Burning Pestle (ca. 1607), sarà una parodia dello stesso tema.

            150 III, iii, 30 Teschio e motto erano di solito incisi su un anello.
            151 III, iii, 33 Vedi Luca XVI 19-31. Nella parabola il ricco epulone è condannato al fuoco eterno, e lo
                 straccione Lazzaro accolto presso Abramo.
            152 III, iii, 48 Anziché sulla lingua.
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