Page 793 - Shakespeare - Vol. 2
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gentiluomini di re Enrico, con le loro firme e sigilli, articoli che in sostanza lo
          accusavano  di  spergiuro  manifesto,  in  quanto  (contro  il  giuramento  da  lui
          prestato  sugli  evangelisti  a  Doncaster,  quando  prima  entrò  nel  regno
          dall’esilio)  egli  aveva  assunto  per  sé  la  corona  e  la  dignità  regale,

          imprigionato  re  Riccardo,  costretto  lo  stesso  a  rassegnare  il  suo  titolo  e,
          infine, l’aveva fatto uccidere. Diverse altre cose essi gli imputavano, fra cui
          l’imposizione di tasse e balzelli, contrariamente alla promessa, l’infrazione di
          leggi e costumi del reame, e l’aver lasciato che il Conte di March restasse

          prigioniero  senza  cercare  di  far  sì  che  fosse  liberato.  Tutte  cose  che  essi,
          come procuratori e protettori del Paese, si assumevano il compito di provare
          contro lui, come affermavano davanti a tutto il mondo.
          Re  Enrico,  letti  questi  articoli,  con  la  sfida  che  a  essi  avevano  annessa,

          rispose ai signori che era pronto a dimostrare con la spada e la battaglia che
          la  loro  protesta  era  falsa  e  solo  una  questione  fabbricata  ad  arte,  non
          dubitando che Dio l’avrebbe aiutato e assistito in questa giusta causa contro i
          traditori spergiuri, sleali e bugiardi. Il giorno dopo di primo mattino, la vigilia

          di Maria Maddalena, disposero in ordine le loro truppe d’attacco sui due lati, e
          ora,  mentre  i  guerrieri  aspettavano  il  segnale  della  battaglia,  l’Abate  di
          Shrewsbury e uno dei membri del sigillo privato furono inviati da re Enrico ai
          Percy con offerte di perdono se essi fossero venuti a un accordo ragionevole.

          Persuaso dai messi, Lord Henry Percy cominciò a dare ascolto all’offerta del
          Re e così mandò con essi lo zio, Conte di Worcester, per dichiarare al Re le
          cause di queste rivendicazioni e chiedere una reale riforma delle stesse.
          Fu riferito come vero che ora, quando il Re aveva accondisceso a tutto ciò che

          era ragionevole chiedergli e sembrava umiliarsi più di quanto si confacesse al
          suo  stato,  il  Conte  di  Worcester  (tornato  dal  nipote)  fece  relazione  affatto
          contraria a ciò che il Re aveva detto, in tal modo da rendere il nipote ancora
          più  avverso  al  Re  di  quanto  era  mai  stato  prima,  così  spingendolo  a  dar

          battaglia  volesse  o  no;  poi  subito  egli  suonò  le  trombe,  la  parte  del  Re
          invocando san Giorgio, gli avversari gridando «Esperance Percy», e così i due
          eserciti si scontrarono furiosamente. Gli arcieri su entrambi i lati mirarono ai
          migliori, lanciando tante frecce che molti morirono e furono abbattuti per non

          più rialzarsi.
          Gli scozzesi (scrivono alcuni), che avevano l’avanguardia dei Percy, volendo
          vendicarsi  dei  vecchi  torti  fattigli  dalla  nazione  inglese,  si  gettarono  così
          accanitamente sull’avanguardia del Re, guidati dal Conte di Stafford, che la

          fecero  ritirare,  e  quasi  ruppero  le  file  degli  avversari.  I  gallesi  anche,  che
          prima si erano celati fra boschi, monti e paludi, udendo che la battaglia era in
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