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23 aprile 1921 Barry Jackson aveva messo in scena le due parti nello stesso
giorno, a Birmingham. Nel novembre 1942 la Parte II fu recitata al
Westminster Theatre, con Robert Atkins nel ruolo di Falstaff: «tranquillo,
meditativo... l’allegria tradiva che i suoi pensieri indugiavano sui giorni
passati» (Child). Intanto al Deutsches Theater di Berlino, nel 1912, Max
Reinhardt aveva curato un’edizione delle due parti, rimasta celebre.
Nell’immediato dopoguerra le due parti furono riprese dalla compagnia
dell’Old Vic, diretta da John Burrell, al New Theatre di Londra. Shallow era
uno splendido Laurence Olivier (che nella Pa rte I assumeva il ruolo
polarmente opposto di Hotspur); Falstaff era Ralph Richardson. La regia
«cercò di subordinare le pressioni della storia all’umanità delle energie
comiche del dramma» (D. Bevington). Più attenta alla dimensione storica fu
la ripresa integrale della seconda tetralogia a Stratford nel 1951, con Richard
Burton nei panni di un Hal riservato ma non troppo severo, Harry Andrews
come un Re «grigio, focoso e potente» specie nella scena della morte, e
Anthony Quaile come un Falstaff risentito e ancora energico. La Parte II era
diretta da Michael Redgrave. Quaile ha registrato il suo Falstaff 28 anni dopo
nell’edizione televisiva della BBC (1979), abbastanza ridotta (152 minuti),
dove Jon Finch è un Re butterato dalla malattia, David Gwillim un Hal
piuttosto compunto e amaro, Robert Eddison un felice Shallow e Michele
Dotrice una bravissima Lady Percy nella «scena più memorabile [II, iii] della
due parti dell’edizione televisiva... ultima testimonianza del tipo di amore che
Hotspur poteva ispirare» (T.F. Wharton).
Il Falstaff di Orson Welles domina l’omonima riduzione cinematografica delle
due parti realizzata dal regista-attore americano fra molte difficoltà in Spagna
nel 1964: un Falstaff sempre padrone della situazione, mirabilmente
interdetto e insieme consapevole dell’inevitabile nel momento del ripudio
(anche se ad un critico egli è apparso in certe scene un «Santa Claus
bofonchiante»). La struttura della riduzione, girata in un bianco e nero
“epico”, con musica western medievaleggiante, è quella di un lungo flash-
back: all’inizio Falstaff e Shallow, attempati, ricordano davanti a un caminetto
sufficientemente malconcio le loro «scampanate a mezzanotte» (Chimes at
Midnight è il titolo originale del film). Ciò non impedì a Welles di mostrare in
conclusione la bara massiccia del suo eroe, e di affidare all’ottima Quickly di
Margaret Rutherford il toccante racconto della sua dipartita (da Henry V, II,
iii). Il Principe divide con il suo vecchio maestro di vita i favori della
spagnoleggiante Doll Tearsheet di Jeanne Moreau, ma nel complesso risulta
scarsamente incisivo, giovane e basta, mentre il Re di John Gielgud è, nel