Page 1151 - Shakespeare - Vol. 2
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monologo del sonno e nella scena della corona, lucidamente cupo, sognante
          e  severo.  Una  curiosità  è  il  Silence  puramente  macchiettistico  di  Walter
          Chiari, che balbetta gonfiando le gote ogni volta che cerca di dire qualcosa.
          Per cercare di movimentare quella che rischiava di essere un’antologia un po’

          confusionaria  dei  brani  più  celebri  delle  due  parti,  Welles  sciorinò  le  sue
          acrobazie registiche, non lasciando in pace per un attimo la cinepresa e gli
          occhi  dello  spettatore.  Fece  scuola,  tanto  a  teatro,  dove  molti  Falstaff
          risentirono del suo modello, quanto al cinema, dove la cruda Agincourt dello

          spettacolare Enrico V  di  Kenneth  Branagh  (1989)  è  un  omaggio  alla
          Shrewsbury violenta e melmosa di Welles.
          La tetralogia ritornò a Stratford nel centenario del 1964, insieme alle tre parti
          di Henry VI (ridotte a due drammi), per la regia brechtiana di Peter Hall, John

          Barton  e  Clifford  Williams.  Ian  Holm  diede  una  versione  negativa,  quasi
          sadica,  di  Hal,  mentre  il  Falstaff  di  Hugh  Griffith  (Squire  Western  nel Tom
          Jones  di  Tony  Richardson)  era  «rumoroso,  non  molto  preciso,  ma
          trascinante».  Nella Parte II  Griffith  «evocò  un’inaspettata  qualità  elegiaca.

          Nella grande scena della taverna [II, iv], dopo la cacciata di Pistol, Falstaff
          siede nella gargantuesca sedia-tinozza che è il suo trono di taverna, con Doll
          Tearsheet (Susan Engel) sulle ginocchia. La scena di John Bury era carica di
          dettagli domestici... Sullo sfondo, l’ostessa e Bardolph sonnecchiano sui loro

          boccali;  sul  davanti  i  musicisti,  accovacciati  sulle  scale,  suonano  motivi
          malinconici sui flauti dolci. La testa di Doll è posata sulla spalla di Falstaff, gli
          chiede quando rappezzerà il vecchio corpo per il cielo. Falstaff fissa a lungo il
          fuoco, nella stanza fumosa e scura. Poi le sue parole ‘Sta’ quieta, buona Doll,

          non parlarmi come una testa da morto, non dirmi di ricordare la mia fine’,
          sono d’una tristezza infinita. I suoi insulti contro Hal e Poins sono pieni di un
          senso della gioventù perduta che essi hanno ancora, e che lui ha lasciato alle
          spalle da tanto tempo» (Wharton).

          In  seguito  le  due  parti  sono  state  di  regola  riprese  insieme  come  un
          problematico dramma nazionale, ma i registi hanno posto il Principe in una
          luce più positiva, suggerendo l’inevitabilità del suo ripudio del vecchio amico
          e dandogli qualche tratto di giovane scapestrato sessantottesco. L’edizione di

          Stratford  del  1975,  diretta  da  Terry  Hands,  poneva  l’accento  sulla
          riconciliazione  di  Hal  (Alan  Howard)  col  Re  (un  drammatico  e  irato  Emrys
          James). Nell’episodio del ripudio le scene di Farrah, improvvisamente animate
          di colori sfarzosi, creavano un contrasto fra il nuovo Re e accompagnatori (a

          destra) e la truppa stracciata di Falstaff (Brewster Mason), a sinistra; il Re poi
          scendeva in mezzo alle due file e veniva fermato dalla figura inginocchiata di
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