Page 219 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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di distruzione, - in entrambe le cose ubbidisco alla mia natura dionisiaca, che non sa separare

      il fare no dal dire sì. Io sono il primo immoralista: con ciò il distruttore par excellence.

      3.
         Non mi è stato chiesto, mi si sarebbe dovuto chiedere, che cosa significa proprio sulla mia
      bocca, il nome Zarathustra: poiché ciò che forma l'immensa unicità di quel Persiano nella
      storia è proprio il contrario. Zarathustra per primo ha visto nella lotta del bene e del male la
      vera ruota nell'ingranaggio delle cose, - la traduzione della morale in termini metafisici, come

      forza, causa, fine in sé, è la sua opera. Ma questa domanda sarebbe, in fondo, già la risposta.
      Zarathustra ha creato questo errore tra i più infausti, la morale: di conseguenza deve anche
      essere  il  primo  che  lo  riconosce.  Non  solo  perché  a  questo  proposito  ha  un'esperienza
      maggiore  e  di  più  lunga  data  di  qualsiasi  altro  pensatore  -  la  storia  intera  è  appunto  la
      confutazione sperimentale del principio del cosiddetto «ordine morale universale» -; la cosa
      più importante è che Zarathustra è più sincero di qualsiasi pensatore. La sua dottrina ed essa

      sola  vede  nella  veracità  la  virtù  più  alta  -  cioè  il  contrario  della  vigliaccheria
      dell'«idealista», che si mette in fuga davanti alla realtà; Zarathustra ha più arditezza nel sangue
      che tutti i pensatori presi assieme. Dire la verità e tirare bene con l'arco, questa è la virtù
      persiana.  -  Mi  si  comprende?...  L'autosuperamento  per  veracità,  della  morale,
      l'autosuperamento del moralista nel suo contrario - in me - questo significa sulla mia bocca il
      nome Zarathustra.


      4.
         Il  fondo  sono  due  negazioni  quelle  che  racchiude  in  me  il  termine  immoralista.  Con  la
      prima nego un tipo d'uomo che fino ad oggi è stato ritenuto il più alto; i buoni, i benevolenti, i
      benefici; con la seconda nego una specie di morale, che ha avuto valore e ha dominato come
      morale in sé, - la morale della décadence, ovvero, detto in modo più comprensibile, la morale

      cristiana.  Sarebbe  lecito  pensare  che  la  seconda  negazione  sia  quella  decisiva,  poiché  la
      sopravvalutazione della bontà e della benevolenza, a grandi linee, mi sembra già conseguenza
      della décadence, come sintomo di debolezza, come incompatibile con una vita che è in ascesa
      e dice sì: nel dire di sì vi è già la condizione del negare e del distruggere. - Mi soffermo
      dapprima sulla psicologia dell'uomo buono. Per valutare quanto valga un tipo umano, bisogna
      calcolare  il  prezzo  per  la  sua  conservazione,  -  bisogna  conoscere  le  condizioni  della  sua
      esistenza. La condizione d'esistenza dei buoni è la menzogna -: detto con altre parole, il non
      voler vedere a nessun costo com'è, in fondo, la realtà, e cioè non atta a far nascere ad ogni

      istante  sentimenti  di  benevolenza,  e,  meno  ancora,  atta  a  tollerare  ad  ogni  istante  su  di  sé
      l'intervento  di  mani  miopi  e  benevole.  Considerare  tutti  gli  stati  di  crisi  estrema  come
      un'obiezione,  come  qualche  cosa  che  bisogna  eliminare,  è  la  niaiserie  par  excellence,
      insomma una vera disgrazia nelle sue conseguenze, un destino di stupidità -, quasi così stupido
      come  lo  sarebbe  la  volontà  di  eliminare  il  cattivo  tempo  -  per  compassione  della  povera

      gente...  Nella  grande  economia  del  tutto  le  cose  terribili  della  realtà  (nelle  passioni,  nei
      desideri, nella volontà di potenza) sono incalcolabilmente più necessarie di quella forma di
      felicità,  la  cosiddetta  «bontà»;  ci  vuole  anche  una  certa  condiscendenza  nel  concedere  un
      posto,  poiché  ha  per  condizione  la  falsità  dell'istinto.  Avrò  una  buona  occasione  per
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