Page 101 - Keplero. Una biografia scientifica
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Keplero difatti scrive: «Il mio primo errore fu di supporre che il
percorso del pianeta fosse un cerchio perfetto, principio che
tanto più mi fece perdere tempo, tanto più ben si intrecciava
con la dottrina di tutti i filosofi e sembrava utile in particolare
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per la metafisica» .
Ci si è già soffermati sull’utilità dei vincoli aristotelici e su
come Keplero, che ormai ha deciso di farne a meno, si trovi di
fronte a un problema completamente nuovo: se il moto del
nostro pianeta non ha velocità costante, come posso prevedere
dove si troverà in un determinato istante? La risposta a questa
domanda sarà data dalla seconda legge, ma la soluzione non può
essere ricavata con un procedimento lineare, semplice, a causa
dell’inadeguatezza degli strumenti matematici a disposizione di
Keplero. I nodi cruciali che rendono impossibile un approccio
diretto sono due: la difficoltà nel definire la grandezza velocità, a
causa dei precetti dettati dalla teoria delle proporzioni, e
l’immaturità del calcolo infinitesimale.
Keplero è perciò costretto a compiere una serie di
approssimazioni, prima tra tutte quella di considerare
nuovamente l’orbita come un cerchio perfetto, benché
eccentrico. Egli immagina poi di dividere la circonferenza in 360
unità, «particelle minime», di lunghezza costante, e di trarre da
ciascun punto divisorio il raggio della circonferenza. Secondo
l’ipotesi fisica, l’intervallo di tempo, che Keplero chiama
«ritardo», con cui un pianeta percorre l’unità di spazio è
proporzionale alla lunghezza del raggio vettore in quel punto.
Così, alla somma di tutti i 360 raggi corrisponde un intero
periodo, mentre alla somma dei soli raggi compresi in un certo
arco della circonferenza corrisponde il tempo impiegato a