Page 482 - Galileo. Scienziato e umanista.
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son prive. È stato dunque l’error mio, e lo confesso, di una vana
                ambitione  e  di  una  pura  ignoranza  et  inavertenza».  E  poi  un

                brano di perfetta impudenza galileiana: per dimostrare la propria
                buona fede e capacità retoriche, Galileo propone di aggiungere

                una  o  due  ulteriori  giornate  al  Dialogo,  in  cui  confuterebbe
                l’opinione che era stata condannata «in quel piú efficace modo

                che  da  Dio  benedetto  mi  verrà  sumministrato.  Prego  dunque

                questo S. Tribunale che voglia concorrer meco in questa buona
                resolutione,  col  concedermi  facoltà  di  poterla  metter  in

                effetto»   245 . Si sentiva pieno di entusiasmo: grazie alle preghiere
                di Maria Celeste e alle attenzioni dei Niccolini, a Roma aveva

                ottenuto «prosperi successi», confidò alla figlia. Maria Celeste
                sospettò che la causa di tanto buon umore fosse altra: «la prego

                a non disordinar col bere, come sento che va facendo»                      246 .
                    Dieci giorni dopo questa confessione fu consentito a Galileo

                di  fare  una  dichiarazione  a  propria  difesa.  Ruotava  intorno  al
                fatto che si fosse dimenticato della frase fatale dell’ingiunzione

                di  Bellarmino  (quovis modo,  «in  qualunque  modo»)  a  seguito
                dell’attestato  protettivo  che  il  cardinale  gli  aveva  rilasciato.

                Poiché Galileo non si considerava soggetto a una disciplina piú
                rigida  di  quella  espressa  nell’editto  dell’Indice  che  era  stato

                pubblicato,  qualunque  eccesso  avesse  commesso  nel  Dialogo

                non  lo  aveva  fatto  «scientemente  e  volontariamente».  Le
                trasgressioni  erano  piuttosto  dovute  alla  sua  vana  ambizione:

                una colpa, senza dubbio, ma non un inganno. Tenete per favore
                presenti (cosí Galileo concluse, appellandosi alla «clemenza e

                                              mi
                                                        i
                benignità  degl’Emin.   SS.   miei  giudici»)  anche  la  mia  età
                avanzata e il mio pietoso stato di salute, e le continue «calunnie
                de’ miei malevoli». E fu in effetti per far tacere tali calunnie che
                aveva  chiesto  e  ottenuto  l’attestazione  dall’«Eminentissimo

                Signor Cardinal Bellarmino»              247 .
                    La Congregazione presentò a Urbano la propria relazione a

                maggio,  o  all’inizio  di  giugno.  I  cardinali  presentarono  un
                quadro scorretto del procedimento, che comprendeva, oltre alle
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