Page 36 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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Piero  Dini  era  al  tempo  in  cui  fu  scritta  questa  lettera

                referendario  apostolico  a  Roma;  nel  1621  sarebbe  stato
                nominato  arcivescovo  di  Fermo,  ma  mantenne  comunque  un

                rapporto di affettuosa amicizia con Galileo. Sullo sfondo della
                missiva  si  colloca  un  episodio  clamoroso,  avvenuto  la  quarta

                domenica  d’Avvento  del  1614:  il  domenicano  Tommaso
                Caccini,  predicando  dal  pulpito  di  Santa  Maria  Novella  e

                commentando il Libro di Giosuè, si era violentemente scagliato
                contro  Galileo  e  i  suoi  seguaci  adattando,  in  latino,
                un’espressione  del  Vangelo  di  Luca  («Uomini  di  Galileo,

                perché  ve  ne  state  a  scrutare  il  cielo?»)  e  accompagnandola
                con  la  maledizione  dei  cultori  della  matematica  come  arte

                diabolica per provocare eresie nel seno della Chiesa.
                     L’invettiva  aveva  prodotto  giusta  amarezza,  come  si

                accenna  all’inizio  della  lettera,  in  molti  studiosi  di  grande
                prestigio,  fra  cui  il  principe  Federico  Cesi,  fondatore

                dell’Accademia  dei  Lincei  e  amico  di  Galileo.  Questi,
                sconsigliando  a  Galileo  di  scendere  personalmente  in  campo
                nella polemica, si era adoperato per raccogliere la protesta dei

                matematici di vari Studi e indurre così l’arcivescovo di Firenze
                a pretendere dal frate una replica ufficiale, ma l’iniziativa non

                era  andata  a  buon  fine  per  l’ostilità  compatta  del  clero
                fiorentino. Alla fine del poscritto si accenna anche a un altro

                insigne matematico, il napoletano Luca Valerio, allora lettore
                di  matematica  alla  Sapienza  e  intimo  del  cardinale  Pietro
                Aldobrandini,  nipote  di  Clemente  VIII.  In  merito  al  suo

                coinvolgimento  nella  vicenda  sappiamo  solo  che  si  dimise
                dall’Accademia dei Lincei dopo che la Chiesa si risolse per la

                condanna della teoria eliocentrica.







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