Page 31 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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impossibile che due verità siano in contrasto tra loro, noi non
dobbiamo temere alcun assalto, da qualunque parte provenga,
purché ci sia concessa la possibilità di parlare e di essere
ascoltati da persone disposte a capire e non eccessivamente
obnubilate da passioni o interessi particolari.
Ciò premesso, vengo ora a parlare di quel passo particolare
del Libro di Giosuè circa il quale, Padre, voi avete esposto alle
Altezze Serenissime tre punti circostanziati; mi soffermo sul
terzo, che avete giustamente ricondotto alla mia posizione, e
aggiungo qualche ulteriore considerazione che mi sembra di non
avervi mai comunicata in precedenza.
Posto dunque e temporaneamente concesso all’avversario
che le parole del testo sacro debbano intendersi così come
suonano, cioè alla lettera, vale a dire che Dio su preghiera di
Giosuè avrebbe fatto fermare il Sole e in questo modo
prolungato la durata del giorno, perché quello potesse portare
vittoriosamente a compimento la battaglia, chiedo d’altra parte
che anch’io goda dello stesso trattamento, e cioè che
l’avversario, cui non sono stati posti dei vincoli da parte mia,
non voglia dalla sua legare me pretendendo che si possa mutare
o alterare il significato delle parole. Ebbene, io sostengo che
proprio questo passo dimostra senz’ombra di dubbio la falsità e
l’insostenibilità della concezione aristotelica e tolemaica del
mondo, e che al contrario è perfettamente in accordo con quella
copernicana.
Per prima cosa chiedo all’avversario: sa quali sono i
movimenti che compie il Sole? Se lo sa, deve rispondere che
compie due movimenti: uno, della durata di un anno, da ovest a
est, e un altro, della durata di un giorno, da est a ovest.
Ecco la seconda domanda: questi due movimenti, così
diversi e quasi contrari tra loro, appartengono al Sole e gli sono
ugualmente propri? Deve necessariamente rispondere di no, e
che un solo movimento è proprio e peculiare del Sole, cioè
quello annuo, mentre l’altro non è specificatamente suo, ma del
cielo altissimo, cioè del primo mobile, che conduce con sé il
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