Page 26 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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Reverendissimo Padre,
degnissimo di essere onorato,
ieri ho ricevuto la visita del signor Niccolò Arrighetti, che
mi ha portato vostre notizie: sono stato molto contento
nell’apprendere (cosa per altro sulla quale non avevo alcun
dubbio) quanta soddisfazione ha recato allo Studio di Pisa la
vostra presenza, tanto ai sovrintendenti quanto ai lettori e agli
studenti provenienti da ogni parte, e nell’apprendere inoltre che
il vostro successo non ha fatto crescere il numero degli emuli
invidiosi, come capita di solito fra coloro che svolgono la stessa
attività, ma, al contrario, ne ha decisamente assottigliato le fila;
anche questi pochi d’altra parte dovranno mettere l’animo in
pace, se non vorranno che l’emulazione competitiva, che
talvolta può anche apparire come una forma di virtù, degeneri e
si muti in un sentimento biasimevole e nocivo soprattutto a chi
ne è portatore. Ma il piacere più grande mi è venuto dal sentirgli
riferire le considerazioni che avete avuto occasione di esporre,
grazie alla somma benevolenza delle Altezze Serenissime, in
una conversazione tenutasi alla loro tavola e proseguita negli
appartamenti di Madama Serenissima, presenti anche il
Granduca e la Serenissima Arciduchessa, nonché gli
illustrissimi signori D. Antonio e D. Paolo Giordano e alcune
altre personalità di rilievo nel campo della filosofia. Quale
favore maggiore potreste desiderare del vedere le Loro stesse
Altezze compiacersi di discorrere con voi suscitando dubbi,
ascoltandone la soluzione e infine traendo soddisfazione dalle
risposte da voi, Padre, formulate?
Le vostre argomentazioni, riferitemi dal signor Arrighetti,
mi hanno fornito l’occasione di riprendere alcune osservazioni
generali circa l’opportunità di citare la Sacra Scrittura in
discussioni aventi per oggetto fenomeni naturali e in particolare
quel passo del Libro di Giosuè, ricordato dalla Granduchessa
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