Page 19 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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contribuì  a  educarlo  a  una  costante  prudenza  nella
                manifestazione del suo pensiero e nella conduzione dei rapporti

                interpersonali.
                     Prudente era stato del resto lo stesso Copernico: il testo del

                De  revolutionibus  era  stato  stampato  con  una  premessa  nella
                quale  si  affermava  che  i  calcoli  e  le  conclusioni  dell’opera
                andavano  considerate  come  semplici  ipotesi  matematiche.  Ciò

                inevitabilmente  depotenziò  il  contenuto  rivoluzionario  del
                trattato  copernicano.  In  realtà,  se  inizialmente  si  credette  che

                autore della premessa fosse stato lo stesso Copernico, qualche
                decennio  più  tardi  l’astronomo  tedesco  Giovanni  Keplero
                (1571-1630)  scoprirà  che  a  scriverla  era  stato  il  teologo

                protestante tedesco Andreas Osiander, il quale aveva inteso così
                rendere meno “pericolosi” i contenuti del lavoro di Copernico.

                     Anche  le  Lettere  copernicane  di  Galileo  abbondano  di
                prudenti dichiarazioni di ossequio e di obbedienza nei confronti

                degli alti prelati ai quali si rapporta. Egli afferma di intendere
                «solamente di riverire e ammirare le cognizioni tanto sublimi, e

                obbedire  a  i  cenni  de’  […]  superiori,  ed  all’arbitrio  loro
                sottoporre ogni […] fatica» (A monsignor Piero Dini in Roma,
                23  marzo  1615)  e  di  parlare  «sempre  con  quella  umiltà  e

                reverenza  che  devo  a  Santa  Chiesa  e  a  tutti  i  suoi  dottissimi
                Padri,  da  me  riveriti  e  osservati  ed  al  giudizio  de’  quali

                sottopongo  me  ed  ogni  mio  pensiero»,  fino  a  dichiarare  di
                sottomettersi «totalmente al giudizio de’ […] superiori».

                     Giunge persino a scrivere: «Prima che contravvenire a’ miei
                superiori, quando non potessi far altro, e che quello che ora mi

                pare  di  credere  e  toccar  con  mano  mi  avesse  ad  essere  di
                pregiudizio  all’anima,  eruerem  oculum  meum  ne  me
                scandalizaret  [“mi  strapperei  gli  occhi  piuttosto  che  trarne

                motivo  di  scandalo”]»  (A  monsignor  Piero  Dini  in  Roma,  16
                febbraio 1615). Non si fatica a intuire la lacerazione interiore

                determinata in Galileo dal contrasto tra l’ossequio alla Chiesa
                (ossequio – crediamo – non solo formale) e il richiamo di una

                verità che la Chiesa non era disposta ad accettare.



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