Page 135 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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bella,  più  utile  e  più  potente.  Però,  avendo  egli  cantati  gli
                encomii del Sole e non gli essendo occulto che egli fa raggirarsi

                intorno tutti i corpi mobili del mondo, passando alle maggiori
                prerogative  della  legge  divina  e  volendola  anteporre  al  Sole,

                aggiunge: Lex Domini immaculata, convertes animas etc.; quasi
                volendo  dire  che  essa  legge  è  tanto  più  eccellente  del  Sole
                istesso, quanto l’esser immaculato ed aver facoltà di convertir

                intorno a sé le anime è più eccellente condizione che l’essere
                sparso di macchie, come è il Sole, ed il farsi raggirar attorno i

                globi corporei e mondani.
                     So e confesso il mio soverchio ardire nel voler por bocca,

                essendo imperito nelle Sacre Lettere, in esplicar sensi di sì alta
                contemplazione: ma come che il sottomettermi io totalmente al

                giudizio de’ miei superiori può rendermi scusato, così quel che
                segue  del  versetto  già  esplicato,  Testimonium  Domini  fidele,
                sapientiam præstans parvulis, m’ha dato speranza, poter esser

                che la infinita benignità di Dio possa indirizzare verso la purità
                della mia mente un minimo raggio della sua grazia, per la quale

                mi  si  illumini  alcuno  de’  reconditi  sensi  delle  sue  parole.
                Quanto  ho  scritto,  Signor  mio,  è  un  piccol  parto,  bisognoso

                d’esser ridotto a miglior forma, lambendolo e ripulendolo con
                affezione e pazienza, essendo solamente abbozzato e di membra

                capaci sì di figura assai proporzionata, ma per ora incomposte e
                rozze:  se  averò  possibilità,  l’andrò  riducendo  a  miglior
                simmetria;  intanto  la  prego  a  non  lo  lasciar  venir  in  mano  di

                persona  che,  adoprando,  invece  della  delicatezza  della  lingua
                materna, l’asprezza ed acutezza del dente novercale, in luogo di

                ripulirlo non lo lacerasse e dilaniasse del tutto. Con che le bacio
                riverentemente  le  mani,  insieme  con  li  Signori  Buonarroti,

                Guiducci, Soldani e Giraldi, qui presenti al serrar della lettera.


                      Di Firenze, li 23 Marzo 1615



                      Di V. S. molt’Illustre e Reverendissima






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