Page 565 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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maniera, nessuna renitenza sarebbe in me di credere alle ragioni che da
          più alta intelligenza mi venissero addotte. In tanto, quando mi vien detto

          che sarebbe inutile e vano un immenso spazio intraposto tra gli orbi de i
          pianeti  o  la  sfera  stellata,  privo  di  stelle  ed
                                                                               È gran temerità il
          ozioso,  come  anco  superflua  tanta  immensità,
                                                                               chiamar nell’universo
          per  ricetto  delle  stelle  fisse,  che  superi  ogni
                                                                               superfluo tutto quello
          nostra  apprensione,  dico  che  è  temerità  voler
                                                                               che non intendiamo
          far giudice il nostro debolissimo discorso delle
                                                                               esser fatto per
          opere di Dio, e chiamar vano o superfluo tutto
          quello dell’universo che non serve per noi.                          noi.
          SAGR. Dite pure, e credo che direte meglio, che noi non sappiamo che

          serva per noi: ed io stimo una delle maggiori arroganze, anzi pazzie, che
          introdur si possano, il dire «Perch’io non so a quel che mi serva Giove o

          Saturno, adunque questi son superflui, anzi non sono in natura»; mentre
          che, oh stoltissimo uomo, io non so né anco a quel che mi servano le
          arterie,  le  cartilagini,  la  milza  o  il  fele,  anzi  né
                                                                                 Col privare il cielo
          saprei d’avere il fele, la milza o i reni, se in molti                 di qualche stella si
          cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed
                                                                                 potrebbe venire in
          allora solamente potrei intender quello che operi                      cognizione di quello
          in me la milza, quando ella mi fusse levata. Per
                                                                                 che ella opera
          intender  quali  cose  operi  in  me  questo  o  quel
          corpo  celeste  (già  che  tu  vuoi  che  ogni  loro                   in noi.

          operazione  sia  indrizzata  a  noi),  bisognerebbe  per  qualche  tempo
          rimuover  quel  tal  corpo,  e  quell’effetto,  ch’io  sentissi  mancare  in  me,
          dire che dependeva da quella stella. Di più, chi vorrà dire che lo spazio

          che costoro chiamano troppo vasto ed inutile, tra Saturno e le stelle fisse,
          sia privo d’altri corpi mondani? forse perché non gli vediamo? adunque i

                                         quattro  pianeti  Medicei  e  i  compagni  di  Saturno
            Molte cose possono
            essere in cielo,             vennero  in  cielo  quando  noi  cominciammo  a
                                         vedergli, e non prima? e così le altre innumerabili
            invisibili a noi.
                                         stelle fisse non vi erano avanti che gli uomini le

          vedessero? le nebulose erano prima solamente piazzette albicanti, ma poi
          noi  co  ’l  telescopio  l’aviamo  fatte  diventare  drappelli  di  molte  stelle
          lucide  e  bellissime?  Prosuntuosa,  anzi  temeraria,  ignoranza  de  gli

          uomini!
          SALV. Non occorre,  Sig. Sagredo,  distendersi più  in queste  infruttuose

          esagerazioni: seguitiamo il nostro instituto, che è di esaminare i momenti
          delle  ragioni  portate  dall’una  e  dall’altra  parte,  senza  determinar  cosa



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