Page 930 - Dizionario di Filosofia
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parole che pure recita con tanta forza di suggestione. Egli è dunque « posseduto » da

          Omero,  che  parla  attraverso  lui  come  per  interposta  persona:  è  nella  stessa
          condizione dei coribanti, invasati e ispirati dal dio.  La dottrina dell’ispirazione è
          espressa anche con la similitudine della catena calamitata, i cui anelli si uniscono
          l’uno  all’altro  per  una  sorta  di  potere  soprannaturale:  analogamente  il  rapsodo  è
          ispirato  dal  poeta,  il  quale  a  sua  volta  riceve  la  sua  ispirazione  dal  dio.  Da  ciò
          deriva  quel  dono  particolare  del  poeta  che  Platone  chiama  entusiasmo  e  che  è

          peraltro  proprio  l’opposto  della  consapevolezza  razionale.  Socrate  chiama  Ione  «
          uomo  del  dio  »,  e  la  formula,  nonostante  il  compiacimento  del  rapsodo  che  non
          comprende, ha un valore marcatamente negativo. Questo dialogo giovanile anticipa
          le  celebri  tesi  platoniche  sulla  poesia,  che saranno  esposte  più  tardi  nella
          Repubblica  e  riprese  dal  neoplatonismo  rinascimentale  (Ficino  e  Pico  della
          Mirandola).

          Ìppia,  titolo  di  due  dialoghi  platonici.  Nel  primo  di  essi, Ippia  maggiore  o  Del
          bello,  il  sofista  Ippia  tenta  di  rispondere  alla  domanda  di  Socrate:  Che  cos’è  il
          bello? Quest’ultimo obietta via via alle risposte di Ippia, mettendone facilmente in
          luce la parzialità e l’inconsistenza. Risulta così che il bello non coincide né con il
          conveniente, né con l’utile, né col piacevole e che nessuna indicazione di individui

          di  riconosciuta  bellezza  risponde  adeguatamente  alla  domanda  iniziale.  Il  dialogo
          termina  con  l’abbandono  di  Ippia,  offeso  dall’implacabile  puntigliosità
          dell’argomentare  socratico.  La  rappresentazione  satirica  del  sofista  è  divertente,
          nonostante qualche eccesso nella caricatura, ma quello che ha fatto ragionevolmente
          dubitare dell’autenticità del dialogo è la sua debolezza speculativa, rivelata dall’uso
          di argomentazioni sofistiche e di poco convincenti giochi verbali.
          Nessun  dubbio  viene  invece  sollevato  sull’autenticità  del  secondo  dialogo: Ippia

          minore  o  Della  menzogna  (Hippías  eláttōn,  ēperì  tû  pséudus).  Qui  i  due
          interlocutori sono alle prese con un confronto ideale fra due eroi omerici, Achille e
          Ulisse.  Per  Ippia Achille,  con  la  sua  lealtà  e  la  sua  onestà,  è  migliore  di  Ulisse,
          mentre Socrate sostiene la tesi opposta. L’argomento fondamentale di Socrate poggia
          sul concetto della superiorità della menzogna consapevole, come quella di Ulisse, su
          quella  certamente  involontaria  di  Achille.  La  tesi  di  Socrate  va  inquadrata,  per

          essere bene intesa, nel contesto della sua concezione morale: si pecca per ignoranza,
          e dunque chi conosce il bene è sempre moralmente superiore, anche se (ma si tratta
          per Socrate di un’ipotesi assurda, prospettata solo per esigenze argomentative) alla
          conoscenza non si accompagni l’azione retta conforme.
          Īśā  Upanisad,  una  delle  più  antiche Upanisad,  in  diciotto  versi,  che  insegna  la

          sintesi e il superamento di tutte le antinomie.

          Lachete o Del coraggio, dialogo giovanile di Platone il cui titolo deriva dal nome
          del  generale  Lachete  il  quale,  insieme  con  Socrate  e  Nicia,  partecipa  a  una
          discussione che, movendo da un esame della funzione educativa della scherma, mira
          a una definizione attendibile del coraggio.  Ma questo risulta una parte della virtù
          che, per sua natura, è inscindibile negli elementi che la compongono; di conseguenza
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