Page 921 - Dizionario di Filosofia
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non è che il complesso dei modi di essere di questi attributi; Dio è la stessa natura,

          la  totalità  ordinata  dell’unica  sostanza:  è  questa  la  formulazione  più  rigorosa  del
          cosiddetto  panteismo.  Il  proposito  di  Spinoza  è  quello  di  costruire  una  dottrina
          morale,  di  cui  la  metafìsica  della  Sostanza  vuole  essere  solo  la  fondazione  e  la
          giustificazione.  Le passioni, del cui meccanismo l’ultima parte dell’Etica contiene
          descrizioni  assai  acute,  nascono  dalle  idee  inadeguate  e  confuse.  Con  la
          comprensione  del  meccanismo  delle  passioni  l’uomo  si  libera  dalla  schiavitù.

          Questo  non  vuol  dire  per  Spinoza  che  ci  si  debba  proporre  come  obiettivo
          l’impossibile  e  oltre  tutto  non  desiderabile apatia  del  saggio  stoico.  La
          comprensione scientifica delle passioni ci rivela la loro necessità e insopprimibilità;
          ma,  al  tempo  stesso,  dalla  consapevolezza  della  necessità  delle  passioni  nasce
          naturalmente  il  contenimento  della  loro  virulenza  e  la  diminuzione  della  loro
          capacità  di  presa  sull’uomo.  Contemplando  con  lucida  intuizione  la  inderogabile
          necessità di tutti i momenti della realtà, l’uomo contempla Dio stesso. Il possesso di

          questa  prospettiva,  in  cui  il  caos  apparente  del  mondo  assume  le  forme  proprie
          dell’ordine necessario di Dio, suscita nell’animo del filosofo il sentimento, rarefatto
          e sublime, che Spinoza chiama amore intellettuale di Dio.
          Anche qui, come sempre in Spinoza, il linguaggio mistico della tradizione religiosa
          va decifrato e tradotto nella sua nuova espressione laica e razionale: la intuizione
          della struttura matematica dell’universo è accompagnata da un ineffabile godimento

          spirituale.
          Etica Eudemèa o Eudèmia o a Eudèmo (Ēthikà Eudemeia), titolo di un’opera di
          Aristotele che è probabilmente un compendio dell’Etica Nicomachea (v. voce seg.),
          compilato  dal  peripatetico  Eudemo  di  Rodi.  Altri  studiosi,  meno  fondatamente,
          considerano l’opera, per i motivi platonici che vi ricorrono, una trattazione redatta

          da Aristotele in età relativamente giovanile.
          Etica Nicomachèa o Etica a Nicòmaco (Ēthikà Nikomácheia), l’opera contenente
          la formulazione più articolata e completa della dottrina morale di Aristotele, edita da
          Nicomaco, figlio del filosofo.  In dieci libri, l’opera inizia con l’affermazione che

          l’attività  dell’uomo  ha  come  proprio  fine  il  bene.  Poiché  d’altra  parte  ogni  fine
          particolare si giustifica in funzione di un altro, per non aprire un processo all’infinito
          bisogna  ammettere  che  esista  un  fine  e  bene  ultimo,  il  quale  è  appunto  il Sommo
          Bene. Per ogni vivente il sommo bene è la felicità e in quanto questa è perseguita non
          dall’uomo  isolato,  ma  dagli  uomini  viventi  in  società,  la  determinazione  del  suo
          concetto  è  compito  della scienza politica,  che  costituisce  quindi  per Aristotele  il
          vertice  stesso  dell’etica.  La  definizione  del  concetto  di  felicità  relativo  all’uomo

          singolo deve fondarsi sulla natura stessa dell’uomo. Ora, poiché l’uomo è un essere
          razionale,  la  felicità  per  lui  non  può  prescindere  dall’esercizio  della  sua  facoltà
          essenziale,  che  è  la  ragione.  Quando  è  impegnata  nell’attività  di  ricerca  e  di
          possesso della verità, che è la sua funzione primaria, la ragione correttamente usata
          dà  origine  nell’uomo  alle  cosiddette  virtù dianoetiche,  o  razionali;  quando  essa
          guida  e  contiene  invece  le  facoltà  appetitive,  nascono  le  virtù etiche.  Esse  si

          generano  attraverso  l’esecuzione  abituale  dell’atto  eticamente  positivo,  e  l’uomo
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