Page 543 - Dizionario di Filosofia
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Ferrari  e  R.  Bombelli),  la  matematica  si  orientò  su  una  linea  di  sviluppo

          assolutamente  nuova.  La  chiarezza  di  concezioni  e  il  dominio  del  calcolo  che
          caratterizzano gli algebristi italiani condussero a una tale maturità di pensiero che il
          problema della risoluzione di un’equazione algebrica poteva ormai essere affrontato
          in tutta la sua generalità.
          D’altra  parte  un  vasto  problema  ben  formulato  serve  da  filo  conduttore  per  la
          scoperta  e  la  determinazione  dei  mezzi  necessari  per  risolverlo,  discuterlo  e

          generalizzarlo;  questo  accadde  per  il  problema  fondamentale  dell’algebra.  Gli
          algebristi superarono con successo i casi dell’equazione di terzo e di quarto grado,
          pervenendo,  per  il  calcolo  delle  radici  di  tali  equazioni  a  partire  dai  loro
          coefficienti,  a  formule  nelle  quali  intervenivano  solamente  estrazioni  di  radici
          quadrate e operazioni aritmetiche ordinarie. Da queste ricerche ebbero origine nuovi
          problemi, tra i quali ricordiamo il problema relativo alla risoluzione delle equazioni
          di grado superiore al quarto e il problema dell’esistenza delle radici quadrate dei

          numeri negativi (numeri immaginari).
          La prima di tali questioni doveva interessare in seguito tutti i massimi algebristi e
          analisti, tra i quali, in particolare, Eulero (1707-1783) e Lagrange (1736-1813).
          Ogni  discussione,  pur  feconda  di  altre  scoperte,  ebbe  termine  solo  quando  Abel
          (1802-1829)  ebbe  dimostrato  l’impossibilità  di  risolvere  l’equazione  generale  di
          quinto  grado  per  radicali.  Questo  risultato,  chiarito  e  generalizzato  dal  francese

          Evariste Galois (1811-1832), considerato da molti il più grande matematico di tutti i
          tempi, si estese nell’ambito della teoria dei numeri algebrici. Il secondo problema
          condusse inevitabilmente all’introduzione dei numeri complessi prima nell’algebra e
          poi  nell’analisi.  Tale  estensione  basta  ad  assicurare  la  validità  del  teorema
          fondamentale dell’algebra secondo il quale ciascuna equazione algebrica di grado n
          ammette  esattamente n  radici  (ciascuna  contata  un  numero  di  volte  uguale  al  suo
          ordine di molteplicità). Questo teorema fu enunciato e dimostrato per la prima volta

          da Gauss.
          I migliori continuatori della tradizione algebrica italiana si ebbero in Francia, con
          Viète (1540-1603), Cartesio (1596-1650) e Fermat (1601-1655).
          A  Cartesio  e  a  Fermat  dobbiamo  l’introduzione  del  concetto  di  sistema  di
          coordinate,  la  cui  applicazione  avrebbe  avuto  sorprendenti  conseguenze.  Esso

          trasformò  in  pratica  la  geometria,  divenuta  conseguentemente  analitica,  in  un
          semplice campo di applicazione dell’algebra. Il calcolo si sostituì alle dimostrazioni
          rigorose  eseguite  a  partire  da  assiomi.  In  tale  modo  si  preannunciava  una  certa
          unificazione delle varie discipline matematiche, a cui si sarebbe associata ben presto
          anche l’analisi.
          L’estensione della geometria analitica del piano a quella dello spazio condusse alla
          concezione  di  uno  spazio  a n  dimensioni  e,  nello  stesso  tempo,  suggerì  l’idea  di
          estendere  a  esso  la  geometria.  Questa  idea  fu  realizzata  più  tardi  da  L.  Schiaffi

          (1814-1895). Gli spazi a n dimensioni assunsero l’aspetto di efficacissimi strumenti
          della matematica nelle speculazioni successive.
          La  connessione  tra  algebra  e  geometria  risultò  particolarmente  feconda  per
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