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Ferrari e R. Bombelli), la matematica si orientò su una linea di sviluppo
assolutamente nuova. La chiarezza di concezioni e il dominio del calcolo che
caratterizzano gli algebristi italiani condussero a una tale maturità di pensiero che il
problema della risoluzione di un’equazione algebrica poteva ormai essere affrontato
in tutta la sua generalità.
D’altra parte un vasto problema ben formulato serve da filo conduttore per la
scoperta e la determinazione dei mezzi necessari per risolverlo, discuterlo e
generalizzarlo; questo accadde per il problema fondamentale dell’algebra. Gli
algebristi superarono con successo i casi dell’equazione di terzo e di quarto grado,
pervenendo, per il calcolo delle radici di tali equazioni a partire dai loro
coefficienti, a formule nelle quali intervenivano solamente estrazioni di radici
quadrate e operazioni aritmetiche ordinarie. Da queste ricerche ebbero origine nuovi
problemi, tra i quali ricordiamo il problema relativo alla risoluzione delle equazioni
di grado superiore al quarto e il problema dell’esistenza delle radici quadrate dei
numeri negativi (numeri immaginari).
La prima di tali questioni doveva interessare in seguito tutti i massimi algebristi e
analisti, tra i quali, in particolare, Eulero (1707-1783) e Lagrange (1736-1813).
Ogni discussione, pur feconda di altre scoperte, ebbe termine solo quando Abel
(1802-1829) ebbe dimostrato l’impossibilità di risolvere l’equazione generale di
quinto grado per radicali. Questo risultato, chiarito e generalizzato dal francese
Evariste Galois (1811-1832), considerato da molti il più grande matematico di tutti i
tempi, si estese nell’ambito della teoria dei numeri algebrici. Il secondo problema
condusse inevitabilmente all’introduzione dei numeri complessi prima nell’algebra e
poi nell’analisi. Tale estensione basta ad assicurare la validità del teorema
fondamentale dell’algebra secondo il quale ciascuna equazione algebrica di grado n
ammette esattamente n radici (ciascuna contata un numero di volte uguale al suo
ordine di molteplicità). Questo teorema fu enunciato e dimostrato per la prima volta
da Gauss.
I migliori continuatori della tradizione algebrica italiana si ebbero in Francia, con
Viète (1540-1603), Cartesio (1596-1650) e Fermat (1601-1655).
A Cartesio e a Fermat dobbiamo l’introduzione del concetto di sistema di
coordinate, la cui applicazione avrebbe avuto sorprendenti conseguenze. Esso
trasformò in pratica la geometria, divenuta conseguentemente analitica, in un
semplice campo di applicazione dell’algebra. Il calcolo si sostituì alle dimostrazioni
rigorose eseguite a partire da assiomi. In tale modo si preannunciava una certa
unificazione delle varie discipline matematiche, a cui si sarebbe associata ben presto
anche l’analisi.
L’estensione della geometria analitica del piano a quella dello spazio condusse alla
concezione di uno spazio a n dimensioni e, nello stesso tempo, suggerì l’idea di
estendere a esso la geometria. Questa idea fu realizzata più tardi da L. Schiaffi
(1814-1895). Gli spazi a n dimensioni assunsero l’aspetto di efficacissimi strumenti
della matematica nelle speculazioni successive.
La connessione tra algebra e geometria risultò particolarmente feconda per