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L’ESISTENZIALISMO
Man mano che passano gli anni è sempre più difficile dare una definizione
univoca dell’esistenzialismo. Tra la prima e la seconda guerra mondiale esso veniva
presentato come un movimento di pensiero che, soprattutto attraverso Karl Jaspers
(1883-1929) e Martin Heidegger (1889) si rifaceva a certi aspetti religiosi legati
alla teologia protestante di Karl Barth (1886-1968) e soprattutto alla Epistola ai
Romani, opera fondamentale di Barth, che deve però essere legata alle seguenti e
anche alla rinascita del pensiero di Sören Kierkegaard (1813-1855). Oggi il
panorama si è notevolmente allargato anche per la relazione col marxismo (Sartre),
di cui parleremo. Sono sempre presenti i filosofi russi, che in ultima analisi si
richiamano a Dostojevskij, Chestov e Berdjaev, e sempre determinante è il
complesso dei filosofi esistenzialisti cristiani e spiritualisti che vanno da René Le
Senne (1882-1954) a Louis Lavelle (1883-1951) e, finalmente, a Gabriel Marcel
(1889). Attraverso Jaspers l’esistenzialismo spazia poi nella psicopatologia
esistenziale, elemento ora considerato di grande rilievo. Bisogna ricordare infatti di
Jaspers la Psicopatologia generale (1913) e la Psicologia delle visioni del mondo
(1919). Nonostante che il rapporto tra esistenzialismo e psicopatologia si sia
realizzato molto presto esso dà luogo ancora a nuovi sviluppi, sia per Jaspers – e
pensiamo all’ultima stesura di La fede filosofica (1963) seguita subito dalla raccolta
degli Scritti di psicopatologia –, sia per Heidegger il cui pensiero viene sviluppato
negli studi di psicologia esistenziale di Ludwig Binswanger (1881-1966). In tal
modo l’esistenzialismo copre tutta una serie di momenti dell’enciclopedia del sapere
che vanno dalla psicologia alla connessa sociologia e, in senso largo,
all’antropologia. Si tratta dunque di scienze umane e di problemi che colgono la
natura emotiva, sociale, politica e storica dell’uomo, il senso del suo destino e della
concretezza finita del suo essere (Dasein) spaziale e temporale, nonché del suo
mondo di bisogni, di angosce, di disperazioni. Sono tutti temi che già si trovano in
Kierkegaard ma che vengono ripresi da Heidegger, specialmente nella famosa opera
Essere e tempo (1927), di cui Heidegger scrisse solo il primo volume. Il secondo gli
fu forse impedito da un troppo vasto accavallarsi di nuovi problemi.
Se Kierkegaard non parlava di sistemi filosofici ma di forme dell’esistenza
umana, per esempio di forma estetica, etica e religiosa, Heidegger ci parla
dell’analitica dell’essere e delle modalità dell’essere nel mondo. Qui si afferma in
modo originale la problematica estetica e Heidegger parla di Hölderlin e della
poesia come ascolto dell’essere. La parola essere è in Heidegger di difficile
comprensione. Non si deve pensare che ciò che l’essere ci detta, e che noi
riceviamo, viene da Dio perché per Heidegger Dio non coincide con l’essere.
L’essere è qualcosa che conoscevamo e che abbiamo perduto in quanto siamo uomini
condannati alla cura (Sorge) e, in conclusione, alla morte. In questo senso Heidegger
parla di libertà per la morte. In scritti più tardi questa libertà per la morte ha fatto
pensare alla guerra come a un dare e ricevere la morte, date anche certe ambigue