Page 35 - Storia della filosofia moderna. Da Niccolò Cusano a Galileo Galilei.
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proporzioni  tra  il  centro  e  il  resto  dell’opera  erano  sempre
                perfette. E non basta: dentro ogni capolavoro c’era ogni volta

                una cosina in più che ce lo fa ricordare. Prendiamo, ad esempio,
                alcuni  dei  suoi  ritratti  più  noti:  la  Gioconda,  la  Ginevra  e  la

                Dama dell’ermellino. Tutte e tre le suddette signore pensano e
                forse sorridono. Ma a che cosa pensano? E perché sorridono?

                Ed  è  Leonardo  che  le  fa  pensare?  E  per  quale  motivo?  Alle

                domande  risponde  Freud:  «Nell’espressione  della  bella
                fiorentina  emergono  i  contrasti  della  vita  amorosa  femminile.

                Ci sono il riserbo e la seduzione, la tenerezza e la sensualità».
                       Qualcuno ha detto che nella Gioconda Leonardo ha voluto

                ritrarre se stesso. Lui sosteneva che la pittura era la figlia delle
                cose  che  a  loro  volta  erano  le  figlie  della  Natura,  il  che

                equivaleva a dire che la Natura era la nonna della pittura. Poi
                precisava  che  quando  si  dipinge  si  lavora  sempre  su  due

                dimensioni,  mentre  quando  si  guarda  si  lavora  su  tre
                dimensioni. L’artista, quindi, deve tenere conto di ambedue le

                esigenze e rispettare nel medesimo tempo sia le due dimensioni
                del quadro che le tre dimensioni della vista.

                       Nel Trattato sulla pittura Leonardo dice:
                       Il  bono  pittore  dipinge  sempre  due  cose,  l’homo  e  il

                concetto che ha in mente sua.

                       Non sempre, però, gli andò tutto bene. A vent’anni, a causa
                di  una  lettera  anonima,  venne  accusato,  insieme  ad  altri  tre

                compagni  di  bottega,  di  aver  commesso  atti  di  sodomia  nei
                confronti di un giovane modello di nome Jacopo. L’accusa non

                ebbe  seguito  per  insufficienza  di  prove,  ma  era  fin  troppo
                credibile. Non a caso la sodomia all’epoca era chiamata «il vizio

                fiorentino». L’episodio, comunque, provocò un forte litigio con
                il  padre  e  la  conseguente  decisione  da  parte  di  Leonardo  di

                andarsene a vivere per conto proprio.
                       Nel 1582 Lorenzo il Magnifico lo inviò a Milano perché

                portasse  in  regalo  a  Ludovico  il  Moro  un  liuto  d’argento.
                Comincia  così  il  periodo  milanese  durante  il  quale  Leonardo



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