Page 28 - La Massoneria Rivelata
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giudizio su di loro furono espressi, anche se da angolature
diverse, da Elia Ashmole, Filippo Buonanni e Étienne Baluze.
La storia dei templari conobbe una grande fortuna con la fine
del XVII secolo, tanto che Le Forestier censisce numerosissime
opere sull’argomento. Tanto interesse fece sì che il mito
cominciasse a rivivere. Da più parti si iniziò ad affermare che
l’ordine non fosse scomparso ma, al contrario, fosse
sopravvissuto segretamente in qualche parte dell’Europa.
Circolarono falsi documenti che attestavano voci sempre più
ricorrenti sull’esistenza occulta dei Poveri Cavalieri di Cristo.
Fra le numerose bufale, particolare successo ebbe la Carta di
Larmenius, una patacca confezionata alla fine del XVIII secolo
nella quale si affermava che nel 1314 l’ultimo Gran Maestro de
Molay, prima di essere arso sul rogo, avrebbe nominato suo
successore un cavaliere di nome Jean Marc Larmenius. Vi
sarebbe quindi stata una discendenza diretta dell’ordine e
l’ultimo Gran Maestro, il diciassettesimo dopo Larmenius,
sarebbe stato Filippo II, duca di Orléans.
L’ambito dove il neotemplarismo trovò l’humus più fertile fu
comunque quello massonico. Questo connubio iniziò grazie ad
André Michel Ramsay (1686-1743), uno scozzese di umili
origini, cattolico e massone. Cavaliere dell’ordine di San
Lazzaro, Ramsay era emigrato in Francia dove era diventato
segretario di François Fénélon, vescovo di Cambrai, ed
educatore della più alta nobiltà francese. Nel 1737 Ramsay tenne
in una loggia parigina un’orazione di grande successo nella
quale non faceva riferimenti diretti ai templari, ma si limitava,
«con ingenua ed acritica convinzione – ma anche con una
grande forza mitopoietica [a collegare] le origini delle
organizzazioni massoniche alle crociate e ai sodalizi di
cavalieri». Egli, insomma, affermava che la massoneria non si
rifaceva tanto a umili costruttori, bensì a cavalieri, «Principi
religiosi e guerrieri [desiderosi di] illuminare, edificare e
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