Page 30 - Maschere_Motta
P. 30
dantesco di Alichino, uno dei diavoli di Malebolge.
È certo che, sulla fine del secolo XVI, un personaggio compare in Francia per iniziativa
dell’attore italiano Alberto Naselli, alias Zan Ganassa, e che per mezzo suo e dei suoi conti-
nuatori esso si diffuse, e con nome italianizzato, nel nostro Paese fino a costituire uno dei
motivi essenziali della commedia in maschera.
Anche le origini del personaggio sono alquanto incerte; esse vennero determinate pro-
babilmente dalla sovrapposizione di elementi stilistici sulla violenta icasticità dei mimi
buffoneschi. Una ricerca dei valori contenutistici che differenziarono, nell’evoluzione di
tutta una drammaturgia, il tipo di Arlecchino da quello più comunemente indicativo dello
“Zanni” ha avuto certo una sua validità, ma la difficoltà di una effettiva differenziazione
delle due figure tra di loro può essere assunta come termine di giudizio valido e determi-
nante agli effetti del riconoscimento delle origini.
I caratteri distintivi della maschera appartennero già allo schiavo plautino e ai servi del-
la commedia erudita, con i quali lo Zanni ebbe, invece, ben poco a che fare, specialmente
nei primi trenta-quarant’anni della sua attività, fino a quando non entrò direttamente in
contatto con la civiltà francese e non assunse, fra le altre denominazioni, quella appunto
di Arlecchino, con cui è passato nel nostro linguaggio quotidiano. Arlecchino è il tipico ser-
vo sciocco, loquace fino alla finezza della parola, in grado di conseguire risultati normal-
mente preclusi alla compassatezza e dignità di altri personaggi della Commedia dell’Arte.
Porta al mondo rumoroso e carnascialesco nel quale viene inserito, la semplicità e la roz-
zezza della campagna, la furberia animalesca del proprio cervello contadino ma, di quella
campagna, anche il mistero e la naturalezza.
Nella sua funzione di servo, cui affida una simpatica svagatezza nel concerto di trovate
ilari sempre, imprevedibili e irresistibili spesso, il tipo raggiunge una qualità notevole di
espressione - trasferita con caratteri più o meno simili da un interprete all’altro - che ne
fa il personaggio della “Improvvisa” maggiormente ricco di suggestioni, quello che meglio
di ogni altro è riuscito a superare l’usura del tempo. Dalla rappresentazione ancora legata
ad arcaiche formulazioni espressive del Martinelli, ed erede prossimo del rustico Zanni, a
quella densa di simbolismi sociali del Gherardi, all’altra, protesa verso una stilizzazione
simulante la struttura fisica e rappresentativa delle prime raffigurazioni del genere ma
aleggianti di già in un clima di autentica ricerca formale, del Bertinazzi, la multicolore,
multigesticolante, multiloquace figura di Arlecchino rimane a significare il vincolo vivo di
affetti e creativo ad un tempo che tenne unito il mondo vulcanico della ribalta con quello
ricco di entusiasmi e di sentita partecipazione della platea.
Simbolo della estrema miseria della plebe, trascina nella sua continua figura di balletto
- dal pesante saltello del primitivo alla leggera andatura del più evoluto - l’avvilimento di
una condizione sociale. Con l’abito spesso a pezze variegate, la maschera ghignante die-
tro la quale nasconde la ferina umanità, lo sconcertante atteggiamento, indica il confine
tra l’uomo e la sua trasformazione diabolica, deride se non rinnega la sua stessa condizio-
ne umana in uno scoppio di ilarità che cela le lacrime.
Il gesto sempre vivace che riproduce perfettamente gli stadi di una psicologia tutta sco-
20