Page 31 - Maschere_Motta
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perta e individuabile, accompagna la parola diluita in fiume dalla varia intensità: dove la
introduzione di un gergale bergamasco prima, quindi veneziano, nel periodo della mas-
sima stilizzazione, accentua l’intonazione popolaresca delimitando l’area esteriormente
fantastica in cui il personaggio si muove.
Arlecchino, come è fertile di trovate ed imbrogli per il contentino di un tozzo di pane,
così si dimostra agile, spericolato, acrobatico, tutto estro di mossette e movenze che, se
ne arricchiscono le possibilità di espressione scenica, diventano esse stesse espressione,
quasi il motivo di un irreale passo di danza. La iconografia, fotografia ideale di un mon-
do solo altrimenti in parte scoperto, lo raffigura nelle più svariate positure: a cavallo, sui
trampoli, mentre trascorre saltellando da un campo all’altro della scena o quando corre.
Si può dire che per lui gli atteggiamenti più diversi siano congeniali tranne quello norma-
lissimo di camminare. In principio l’abito non differiva gran che da quello comunemente
usato dagli Zanni.
Una stampa seicentesca raffigura l’attore Tristano Martinelli nei panni di Arlecchino: il
costume è identico a quello Zannesco anche nel colore; larghi pantaloni su cui, abbondan-
te, cade la tunica informe legata alla vita da un rozzo cordone, e su di essi sovrapposizioni
di rattoppi a tinte diverse simulanti la miseria del personaggio (così il facchino scendeva
dalle montagne della Val Brembana in città).
Nel Settecento prevale una stilizzazione elaborata fino ad un sottile gioco della ricerca
dell’effetto scenico e il costume assume pressappoco l’aspetto che ci è familiare. Le di-
sordinate abbondanze cedono all’eloquenza stilistica del cosciale settecentesco, la linea
fisica del personaggio si fa più esile, astratta, tende al danzato, in ordine con una mutata
psicologia.
La maschera simula il ceffo degli Zanni, o forse il viso annerito dei carbonai bergama-
schi; dall’arcata orbitale amplissima spuntano - forellini minuscoli - gli occhi, che con il
pelo cespuglioso sulle labbra e le folte sopracciglia danno al volto un aspetto che alterna
la rappresentazione demoniaca con quella dell’uomo selvaggio. Comune copricapo a due
punte il cappello degli Zanni. Poi sostituito dal tipico feltro, mentre una calotta nera ade-
rente ripete il cappuccio degli Herlequins francesi, mentre la zampa di lepre o la coda di
coniglio (nel quadro di Pourbus che si trova al museo di Bayonne) riconducono ancora alla
tradizione del cacciatore selvaggio. La spatola, arma di cui Arlecchino si serve nelle più
disparate circostanze, per combattere i nemici come per mescolare la polenta nel paiolo,
richiama contemporaneamente lo scettro giullaresco e la clava di Ercole ed è, in definitiva,
la sintesi comica di un carattere. Nato per opera di un grande interprete di Zanni, Alberto
Naselli detto Zan Ganassa, Arlecchino ha suggerito ad attori di vaste possibilità raffigura-
zioni ad un tempo simili e diversissime.
A mano a mano che la maschera veniva accostata da personalità artistiche dalle svaria-
tissime qualità ed introdotta in un genere di continua mutazione, essa subiva modifica-
zioni sostanziali pur senza che se ne alterasse il carattere essenziale. La documentazione
intorno al Naselli è scarsa, ridotta com’è alle notizie legate all’origine del tipo.
Attingendo alla tradizione francese del diavolo-buffone (Zan Ganassa lavorò in Francia
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