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Maschere, Diavoli e Morte







                                                al punto di vista folkloristico l’origine delle maschere del teatro popolare e del-
                                                la stessa Commedia dell’arte costituisce un problema assai complesso e am-
                                      D piamente discusso tra gli studiosi, le cui soluzioni sono ben lungi da essere
                                      pacifiche. La vera natura delle maschere si svela allorché consideriamo le maschere come
                                      componenti essenziali e indispensabili del rito, da cui traggono linfa e significato insieme,
                                      la commedia popolare e quella colta, e le inseriamo perciò nella sequenza dello spettacolo
                                      carnevalesco. Dato il carattere agro-propiziatorio del carnevale, le maschere rappresenta-
                                      no, secondo la tesi di K. Meuli, le divinità sotterranee, i demoni, le anime dei morti, che nel
                                      momento in cui si inaugura il nuovo ciclo produttivo, evocati da appositi riti, ricompaiono
                                      sulla terra e vi esercitano i loro poteri di stimolo per la vegetazione. Una vasta esemplifica-
                                      zione di questa concezione offrono la storia delle religioni e l’etnologia.
                                        Numerosi e chiari appaiono nelle maschere in uso presso vari popoli e culture, gli elementi
                                      diabolici che rivelano, nelle forme e nei riti, la loro relazione con i trapassati.
                                        Per limitarci al folklore italiano, osserviamo come il carattere diabolico e infernale dei prin-
                                      cipali tipi di maschere, quali ad esempio, Arlecchino e, tra le più popolari, Zanni e Pulcinella,
                                      sia ora più o meno, riconoscibile dai particolari del costume, o dai loro atteggiamenti e in-
                                      tenti, o dagli stessi etimi dei nomi. Significativa è la maschera nera di Arlecchino, che negli
                                      antichi modelli riproduce la fisionomia del diavolo. Lo stesso può dirsi del volto mezzo nero e
                                      mezzo bianco, col naso adunco e occhi grifagni di Pulcinella, il cui ampio camice bianco (che
                                      fu anche del primo Arlecchino) corrisponde a quello con cui appaiono coperte le larve; men-
                                      tre il fiammante costume di Arlecchino a losanghe policrome che riflette la varietà e vivacità
                                      dei colori della natura nella stagione del suo risveglio, ha il significato di un travestimento
                                      rituale per le feste primaverili. Il codino del copricapo di Arlecchino, dei tempi più recenti e
                                      della parrucca di Stenterello sono probabilmente resti dell’antica veste di pelle di animali.
                                        Ornamenti infernali ha pure Zanni: la tunica, e i calzoni bicolori, bianco-rossi, il ber¬rett-
                                      one a punta aguzza, frastagliata con nastri colorati e penne di gallo, il campanello che gli
                                      pende sul didietro. Tra le più tipiche maschere regionali sono da ricordare i mamutones sardi,
                                      con corpetto rosso, calzoni bianchi, maschera nera, campanacci sul dorso e sonagli sul collo;
                                      e gli issocadores, il cui abbigliamento comprende la berretta sarda con nastri, larghi panta-
                                      loni, camicia di tela e corpetto rosso; oltre agli elementi del vestiario, è significativo il modo
                                      di procedere, lento e cadenzato, dei primi “con passi pesantissimi, come se avessero catene



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