Page 108 - Maschere_Motta
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Menego o Meneghino
ià ai primi deI ‘500 si incontra a Padova nel te-
atro del Ruzante (1502-1542) il personaggio di
G G Domenico, detto familiarmente Menego, tipo di
contadino ingenuo e poltrone; passato al servizio dei nobili
di città, fedele ma senza piaggeria, furbo maschietto, av-
veduto ma cuor d’oro, Meneghino fu detto anche Pecenna
perché pecennà (cioé pettinare, in senso figurato, strigliare)
era il suo maggior impegno soprattutto quando si trattava
di dar contro a certi italiani xenofili. Ebbe per moglie Cecca.
Nata al tempo di C. M. Maggi (fine Seicento) ma da questi
fatta veramente vivere e introdotta nelle sue commedie,
la sua figura, soprattutto col diminutivo di Meneghino,
andrà col tempo evolvendosi fino ad assomigliare a quella
del toscano Stenterello: lo stesso incontro d’ingenuità e
d’astuzia, la stessa inclinazione agli amori facili e alla buona
mensa, una analoga popolarità presso i rispettivi pubblici.
Meneghino, come Stenterello e come il piemontese
Gianduja, è uno di quei ruoli che, per la loro incisività
e personalità, vengono affidati ad attori caratteristi;
per quella stessa ragione, lasciando in ombra ogni altra
maschera.
Milano ha finito col riconoscersi in Meneghino, come
Firenze in Stenterello e Torino in Gianduja. Di Menego o
Meneghino, contadino sceso in città per fare il domestico,
si raccontano episodi in cui la loro ingenuità supera di
gran lunga quella del famoso Pierrot. Un giorno, vedendo
passare per via un pittore che portava sulle spalle due
ritratti, Meneghino rincasò ansante, senza aver fatto la
commissione che gli era stata affidata. «Oggi non esco più
- dice al padrone - ho incontrato in strada un uomo con tre
teste, e non mi sembra naturale, porta sfortuna». Un’altra
volta Meneghino, mentre sta accendendo con acciarino ad
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