Page 25 - Storia della Russia
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Costantinopoli non ci fu centro che potesse rivendicare l’autorità universale esercitata da
Roma sui paesi cattolici). Le tradizioni ortodosse, inoltre, influenzarono fortemente l’arte
russa, in particolare riguardo alla posizione dominante delle icone: non si tratta di pittura
figurativa, ma di rappresentazioni simboliche create per condurre al regno dello spirituale
e del divino sia l’artista sia lo spettatore; vere e proprie forme d’arte figurativa e profana
giunsero in Russia molto più tardi. Lo stesso avvenne per la musica strumentale, rifiutata
dagli ortodossi: la straordinaria tradizione russa di canto corale sacro si accompagnò
all’avversione ufficiale per gli strumenti popolari suonati da musicisti girovaghi
(skomorochi), che portò anche alla scarsa diffusione e al rifiuto della musica strumentale
europea, almeno fino all’epoca di Pietro il Grande. Ugualmente importante fu l’influenza
del monachesimo orientale, che trovò la sua massima espressione nelle comunità del
monte Athos in Grecia: il primo monastero kieviano, il Monastero delle Grotte
(Pečerskaja lavra), fu fondato a Kiev intorno al 1050 dal monaco atonita Antonij, poi
dichiarato santo. I monasteri furono centri di vita spirituale, di istruzione e cultura, e con il
passare degli anni si trasformarono nel cuore delle colonie e degli insediamenti delle
lontane periferie, e divennero i principali proprietari terrieri; con la costruzione di grandi
mura di cinta furono impiegati anche come fortezze e rifugi nei periodi di guerra.
Malgrado le azioni risolute di Vladimir dopo la sua conversione, e le influenze della
cultura e del clero bizantini sull’élite della Rus’, tra le masse popolari il Cristianesimo si
diffuse lentamente. Ma se la forte opposizione iniziale (a Novgorod scoppiò una rivolta
contro la dissacrazione degli idoli pagani) ebbe vita breve, le credenze pagane e gli usi
locali furono duri a morire e nella Rus’, come altrove, la nuova fede tollerò i vecchi
sistemi religiosi (la venerazione degli spiriti della foresta e del focolare, il culto degli
antenati, le pratiche magiche e animiste), e in alcuni casi vi si adattò: questo sincretismo
chiamato dvoeverie, «doppia fede», ha caratterizzato la religione popolare russa fino
all’epoca moderna. Ciononostante, il Cristianesimo istituzionale si impose nella Rus’
come sistema ufficiale senza particolari difficoltà e, oltre a formare la base di una cultura
condivisa dall’intera nazione, fornì la giustificazione teorica al potere della casata kieviana
e moscovita di Rjurik.
I principi rjurikidi consolidarono la propria autorità su una popolazione per la
stragrande maggioranza rurale, contadini che vivevano soprattutto di agricoltura. Nella
Rus’ si praticava la schiavitù, ma i contadini erano liberi e si sostentavano con le tecniche
agricole del «taglia e brucia», la coltivazione di cereali nelle radure e l’allevamento di
bestiame, mantenendo anche la popolazione urbana e le élite cittadine. Inoltre pescavano,
cacciavano e raccoglievano i prodotti della foresta (bacche, funghi, noci, miele e cera). In
genere le famiglie proprietarie di un appezzamento di terreno si raggruppavano in borghi e
villaggi ed entravano a far parte di comunità territoriali o associazioni locali (verv’ o mir)
che condividevano i terreni e le strutture agricole. Le comunità avevano una responsabilità
generale o collettiva nel pagamento dei tributi e nell’assolvimento degli altri obblighi
legali dei singoli membri e delle famiglie.
Oltre a una base rurale, la Rus’ sviluppò una notevole urbanizzazione soprattutto a
causa della crescente importanza del commercio: il 13-15% della popolazione viveva
probabilmente in agglomerati urbani abbastanza numerosi e progrediti, tanto che le città
più grandi della Rus’ reggevano il confronto con quelle dell’Europa contemporanea. Erano
le sedi di principi e dignitari ecclesiastici, che possedevano spesso anche vaste proprietà