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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            tutti, perchè in ciò consiste la vera gloria. Siamo divenuti, è vero, dodici pezzi; ma tutti eguali, però,
            e siamo tutt'uno poi che siamo una dozzina. Ah! che gioia!»
                   Passarono gli anni, e alla fine non ne poterono più.
                   «Una volta o l'altra, già, bisogna fare una  fine!» — disse ciascun  pezzo: «Avrei voluto
            resistere ancora un poco, ma non si deve pretendere l'impossibile!» E allora furono stracciati in
            cenci e brandelli, e credettero,  naturalmente, che fosse proprio finita per loro,  perchè furono
            sminuzzati, tritati, macerati, bolliti... Ah, non avrebbero saputo dire  nemmeno essi quante ne
            dovettero passare... Ed ecco che un bel giorno divennero carta, bianca, liscia, finissima!
                   «Ah, che sorpresa! Che magnifica sorpresa! disse la carta: «Sono anche più fine di prima, ed
            ora mi scriveranno sopra! Che cosa non si può scrivere su di me? Che gioia, che gioia davvero
            ineffabile!»
                   Sulla carta furono scritte le più belle novelline, e la gente ci stava attenta attenta, perchè
            erano cose buone e gentili, che rendevano gli uomini più savii e migliori; ed era una vera
            benedizione questa, che la carta diffondeva in parole.
                   «Ciò è assai più di quanto io avessi mai  potuto sognare, mentr'ero un povero fiorellino
            azzurro, nel campo: come avrei potuto immaginare allora di arrivare a tanto, da diffondere tra gli
            uomini gioia e sapienza? Io stesso non lo so ben comprendere, e pure è proprio così! Il Signore lo sa
            che io, per conto mio, per nulla ci ho contribuito, se non in quanto le mie deboli forze eran costrette
            a fare, per tirar avanti. E pure son colmato di gioie e di onori! E ogni volta penso: Ecco che la
            canzone è finita davvero! — salgo in vece di un grado. Ora, dovrò certo girare il mondo in lungo e
            in largo, perchè tutti mi possano leggere. Oh, dovrò viaggiare senza dubbio! Un tempo, portavo i
            miei piccoli fiori azzurri; ora, per ogni fiorellino, ho avuto in cambio un pensiero gentile. Chi più
            felice di me?»
                   Ma la carta non fu mandata a viaggiare per il mondo; fu mandata alla stamperia, dove tutto
            quello che c'era scritto fu stampato e riunito in  un libro, anzi in molte migliaia di libri; perchè
            infinitamente maggiore era, così, il numero delle persone che potevano cavarne utilità e diletto; e se
            in vece quella sola carta, sulla quale stava lo scritto, si fosse messa a correre il mondo, si sarebbe
            logorata prima d'arrivare a metà strada.
                   «Sì, sì, questo è infatti il partito più savio!» — pensò la carta manoscritta: «Non mi era
            venuto in mente, ma è meglio così! Io resto tranquillamente a casa, e riverita come una vecchia
            nonna. Sono io quella su cui fu scritto; su di me scivolarono le parole cadute dalla penna. Io resto
            qui ed i libri vanno in giro. Qualche bene ne  verrà certo. Ah, come sono contenta, come sono
            felice!»
                   I,a carta fu riunita in un pacchetto e riposta sullo scaffale. «Il riposo è dolce dopo la vita
            attiva,» — disse: «e savio è chi ci consiglia di raccoglierci a meditare sull'intimo nostro. Soltanto
            ora imparo a veder chiaro nelle ricchezze che ho dentro di me: e la conoscenza di se stessi è il vero
            progresso. Ed ora, che altro mi capiterà? Un altro passo innanzi di sicuro, poi che si avanza
            sempre!»
                   Un giorno, tutta la carta fu buttata nel caminetto, perchè bruciasse: non si poteva già
            permettere che finisse dal droghiere, per incartocciare il riso o lo zucchero! Tutti i bambini si
            misero attorno al caminetto per vedere la fiammata; volevano vedere nella cenere le cento e cento
            faville, che sembrano rincorrersi e poi si spengono a un tratto: le faville rappresentano le monachine
            che escono dal coro e vanno a letto, e l'ultima l'ultima è la badessa. Tante volte si crede che la
            badessa se ne sia già andata, ed ecco in vece che a un tratto salta fuori e corre dietro a tutte le
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            altre .
                   La carta andò sul fuoco, tutta in un pacchetto. Uh! che fiammata! — Uh! Uh! — fece la
            carta, e in un momento fu una fiamma sola, che salì così alta, come mai il lino dai piccoli fiori

                   (20)  Nell'originale: «Börnene gik af Skole og Skolemesteren var den sidste» (H. C. Andersens Eventry  og
            Historier, Kjöbenhavn, C. A. Reitzels Forlag, 1887,  vol. I, pag.  398). Le  mamme danesi dicono che le faville
            rappresentano i bambini che escono di scuola, e l'ultima di tutte è il maestro. Ma le nostre popolari «monachine» furono
            consacrate dai graziosi versi di Enrico Panzacchi.
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