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Tredici domande rimaste senza risposta

          Il documento lascia senza parole gli uomini di Francesco. Verificando con attenzione i
          dati inviati, i consulenti finanziari che lavorano per la commissione del papa trovano
          numerose anomalie, errori almeno apparenti e varie incongruenze. Dopo qualche giorno

          dedicato  ai  controlli,  nel  tardo  pomeriggio  del  10  febbraio  2014  rompe  gli  indugi
          Filippo Sciorilli Borrelli di McKinsey. Il consulente manda a Zahra tredici domande
          sui conti della segreteria di Stato. Quesiti puntuali sui depositi, sulle spese e sulla reale

          gestione  dell’obolo.  Il  primo  riguarda  gli  interessi,  che  sono  troppo  bassi.  Com’è
          possibile? I riscontri dell’uomo di McKinsey lasciano interdetti:

            Nel documento si dichiara che il tasso d’interesse medio annuo riconosciuto dallo Ior sui depositi nel Fondo Obolo era
            di (ha generato, nda) 3 milioni di euro nel 2012. Allo Ior nel 2012 c’erano depositati 89,5 milioni, significa che il tasso
            era del 3 per cento? Questa affermazione è vera o falsa?

          Se l’affermazione è vera, e non ci sarebbe motivo di dubitarne, non si capisce «che ne è
          dell’interesse sugli altri depositi noti (per esempio i 58 milioni di euro presso Merrill

          Lynch).  Se  la  suddetta  affermazione  è  falsa,  come  si  spiega  che  il  tasso  d’interesse
          complessivo sia appena l’1 per cento del totale dei fondi investiti (nel 2012, 3 milioni
          di interessi su una base di 377,9 milioni di euro)?».
            Il consulente che lavora per la commissione del papa chiede come mai il versamento

          annuo effettuato dal santo padre a «L’Osservatore Romano» (5,3 milioni nel 2011 e 5,6
          nel 2012) «non compare sotto la voce “copertura disavanzo”, pur rientrando nel deficit
          della  curia».  Ancora:  «A  che  cosa  corrisponde  la  voce  Obolo  c/erogazioni  da  7,3
          milioni nel 2012 e 2,1 nel 2011?». Infine, se uno va a vedere quanto è depositato nelle

          varie banche dei 371,6 milioni indicati come riserve Fondo Obolo (2011) nelle tabelle,
          trova solo 353,4 milioni, «pari a un divario di 18,2 milioni di euro. Come si spiega
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          questa differenza negativa?».  Dove sono finiti quei 18 milioni?
            Le  domande  rimangono  e  rimarranno  inevase.  Le  tredici  questioni  sollevate  e
          condivise  in  Cosea  non  diventeranno  mai  ufficiali.  Non  usciranno  mai  nemmeno  da
          quell’«Area 10» che custodisce i segreti più importanti del lavoro della commissione.
          Ci si accontenta quindi di notizie parziali e spesso persino fuorvianti. Difficile indicare

          il  motivo  preciso.  Alcuni,  nei  sacri  palazzi,  ritengono  che  sia  al  vertice  della
          commissione, sia all’interno della segreteria di Stato è passato il solito slogan usato per
          troncare alla radice ogni questione dall’esito imprevedibile: troppo potere ai laici e ai
          consulenti finanziari, la loro azione ispettiva e consultiva sta esorbitando dall’incarico

          ricevuto. In poche parole, stanno esagerando. È ora di finirla con tutte queste domande.
            Era accaduto anche con  Ettore  Gotti  Tedeschi, quando l’allora presidente dello  Ior
          voleva avvalersi dei più autorevoli consulenti in tema di antiriciclaggio, provenienti
          dalla  Banca  d’Italia,  per  far  entrare  il  Vaticano  nella white list, cioè tra i paesi che

          rispettano  le  regole  della  correttezza  finanziaria.  Sul  progetto,  Benedetto  XVI  subì
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