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L’accusa dei revisori

          Da sempre al collegio dei revisori spetta il delicato compito di controllo sui conti e sui
          bilanci di tutti i dicasteri che gestiscono le finanze vaticane. Il collegio è formato da
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          cinque laici, provenienti da diversi paesi europei.  Si riunisce una volta ogni sei mesi
          in  Vaticano  insieme  con  altri  otto  membri  della  Prefettura.  In  pratica,  l’intera  scala
          gerarchica  di  questo  dicastero:  dal  presidente  Giuseppe  Versaldi,  al  segretario,

          monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda, fino al capoufficio, monsignor Alfredo Abbondi.
            Le riunioni sono riservate. Oltre agli interessati vi partecipano solo due interpreti e
          una verbalista, che prepara gli atti con gli interventi. Basta leggere i verbali dal 2010 a
          oggi per capire come problemi di sprechi, malagestione, anomalie e inefficienze siano

          sempre stati denunciati dal gruppo dei revisori, con tanto di specifici suggerimenti per
          migliorare  la  situazione.  Per  anni  le  segnalazioni  sono  state  accolte  con  assoluta
          indifferenza. Non è stato portato avanti alcun sensibile cambiamento. Con un crescente
          sconforto e con la frustrazione dei professionisti che vedevano cadere ogni loro critica

          e apporto costruttivo.
            Già il 22 dicembre 2010, non sapendo più cosa fare per farsi ascoltare, il collegio dei
          revisori aveva inviato un’articolata lettera a Benedetto XVI, mettendo in rilievo le aree
          di  maggiore  criticità  sulle  quali  intervenire.  La  missiva  cadde  nel  vuoto,  così  come

          altre proposte che rimasero solo sulla carta. Il fatto che i revisori tornassero a scrivere
          al pontefice è di assoluta rilevanza. Gli esperti contabili sentono che il nuovo papa può
          muoversi con maggior decisione e prontezza.
            Francesco non aveva sollecitato il documento di denuncia. Erano stati i revisori stessi,

          solo  poche  settimane  prima,  a  capire  che  davvero  non  si  poteva  più  tentennare  e
          bisognava far conoscere al papa tutti i dettagli sulla situazione finanziaria. Che è ben
          diversa dalle indicazioni ottimistiche, filtrate e riduttive che Francesco aveva ricevuto
          da chi, avendo gestito l’amministrazione con Ratzinger, aveva tutto l’interesse a rendere

          più rosea la realtà, affrancandosi da ogni responsabilità.
            Il 18 giugno, quindici giorni prima della riunione riservata, i revisori che lavorano
          con la Prefettura – laici motivati da un sincero e profondo amore per la Chiesa, come
          loro stessi scrivono nella lettera privata che sarà consegnata al pontefice – assistono di

          prima mattina alla messa con il santo padre presso la Casa di Santa Marta. Alle 9 si
          ritrovano  tutti  insieme  per  una  delle  due  riunioni  annuali  dedicate  all’esame  del
          bilancio della Santa sede e del Governatorato.
            L’incontro avviene, come sempre, con il coordinamento del cardinale  Versaldi.  Da

          quanto emerge dal verbale – che abbiamo avuto modo di consultare – il gruppo discute
          animatamente.  Prevalgono  i  toni  pessimistici.  Già  in  passato  i  revisori  avevano
          manifestato preoccupazioni, ma stavolta le bordate sono ancora più pesanti. E arrivano
          sempre  da  loro,  dal  gruppo  dei  laici  del  collegio.  Una  pattuglia  di  professionisti
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