Page 176 - Via Crucis
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lo critica con gesti più o meno espliciti, ad esempio Gerhard Ludwig Müller, prefetto

          della  Congregazione  per  la  dottrina  della  fede,  che  non  partecipò  a  una  messa  non
          condividendo alcune interpretazioni teologiche del santo padre; oppure Camillo Ruini,
          ex  presidente  della  Conferenza  episcopale  italiana,  che  in  dissenso  sulle  posizioni

          relative ai divorziati risposati, nell’ottobre del 2014 non strinse la mano a Francesco
          dopo il Sinodo. Chi, ancora, con veri e propri manifesti, come cinque cardinali – il già
          citato  Müller;  Raymond  Leo  Burke;  l’ex  numero  uno  della  Prefettura,  Velasio  De
          Paolis;  l’italiano  Carlo  Caffarra;  l’austriaco  Walter  Brandmüller  –  che  hanno
          sottoscritto  il  documento  «Permanere  nella  verità  in  Cristo»  in  disaccordo  totale

          sull’idea  che  i  divorziati  possano  accedere  ai  sacramenti.  Senza  dimenticare  gruppi
          nutriti  di  vescovi,  sia  in  Italia  –  molti  dei  quali  fanno  riferimento  ad  Angelo
          Bagnasco – sia in Germania: Gregor Maria Hanke, Konrad Zdarsa, Rudolf Voderholzer

          e Wolfgang Ipolt.
            Dunque,  i  cambiamenti.  Partiamo  dalla  Segreteria  per  l’economia,  con  il  cardinale
          Pell  che  doveva  centrare  l’obiettivo  di  una  gestione  finalmente  unificata  di  tutte  le
          finanze. Così voleva Francesco e così a oggi non è stato. Ad esempio, l’altro organo
          gemello, la segreteria di Stato, mantiene il pieno controllo sulle risorse che già gestiva

          in passato. A iniziare proprio dall’Obolo di san Pietro, il generoso flusso di denaro che
          dalle diocesi nel mondo dovrebbe sostenere la missione pastorale della Chiesa e che
          invece finisce a coprire le perdite dei dicasteri della curia. L’amministrazione dei fondi

          dell’obolo avrebbe dovuto finire tra le competenze della Segreteria per l’economia ma
          la resistenza degli uffici di Parolin si fa sentire. Del resto tra Pell e Parolin non è mai
          nata una vera collaborazione. Anzi, spesso ci sono stati scontri particolarmente accesi.
          Come quelli verificatisi nel dicembre del 2014 e nel febbraio del 2015, quando Pell ha
          diffuso  alcuni  dati  sui  fondi  extracontabili  emersi  durante  le  indagini  dei  mesi

          precedenti. «Nel concistoro ho spiegato che a oggi (13 febbraio 2015, nda),  ci  sono
          442 milioni di assets addizionali nei dicasteri (entreranno nei bilanci 2015), ed essi si
          vanno ad aggiungere ai 936 che avevamo individuato in un primo momento.» In tutto,

          quindi,  1,4  miliardi  di  euro  non  registrati  nei  documenti  contabili.  Arriva  poi  la
          stilettata a  Parolin: «Anche la segreteria di  Stato non sapeva che non era la sola ad
          avere da parte, per i tempi cattivi, tanto denaro». Alcuni vaticanisti hanno letto queste
          dichiarazioni  come  un  attacco  di  Pell  a  Parolin,  tanto  che  sono  partite  correzioni  e
          rettifiche da parte dell’ufficio stampa vaticano per precisare che non si trattava di fondi

          neri  ma  extracontabili.  Come  del  resto  abbiamo  qui  raccontato  grazie  a  documenti
          inediti. La realtà però più rilevante è un’altra: far emergere una somma così ingente che
          prima  non  veniva  riportata  nei  bilanci  toglie  molte  risorse  e  limita  il  potere

          discrezionale di chi, finora, ha potuto gestire quel denaro senza dover rendere conto a
          nessuno.
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