Page 172 - Via Crucis
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«Jessica» e gli altri
L’azione del papa agisce chirurgicamente anche nelle retrovie del potere. E si aprono
storie ben diverse – è bene precisare – da quelle finora qui raccontate. Francesco per
mesi combatte un silenzioso braccio di ferro con il decano dei cerimonieri papali, il
potente Francesco Camaldo, ridotto a canonico della basilica vaticana. La sera del 13
marzo 2013, dopo la fumata bianca, è lui il prelato che si vede in seconda fila alla
destra del papa sulla loggia della basilica. Immagini che hanno fatto il giro del mondo e
che imbarazzano Bergoglio. Per diversi motivi. Il nome di Camaldo è emerso, ma senza
coinvolgerlo, durante le indagini sulla lobby affaristica di Diego Anemone e Angelo
Balducci, l’ex gentiluomo di sua santità finito travolto dagli scandali di corruzione a
Roma nel 2010, e che si vide poi confiscato un tesoro di case del valore di 13 milioni
di euro.
Non solo, Camaldo è stato per molti anni segretario dell’ex vicario di Roma,
cardinale Ugo Poletti. Seppur mai indagati, i nomi di entrambi compaiono più volte
nell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, la ragazza, figlia di un commesso
della Prefettura della casa pontificia, sparita nel nulla a quindici anni, il 22 giugno
1983, dopo aver frequentato la scuola di musica della basilica di Sant’Apollinare, a
Roma. Per motivi misteriosi, nella cripta della basilica, per diversi decenni hanno
riposato i resti di Renatino De Pedis, presunto cassiere della Banda della Magliana,
organizzazione criminale che controllava negli anni Ottanta il mercato della droga nella
capitale. La magistratura italiana ha collegato a lungo l’anomala sepoltura di De Pedis
alla scomparsa della ragazza: a dare l’autorizzazione fu proprio il cardinale Poletti,
mentre per gli inquirenti a gestire la pratica fu invece il fidato segretario Camaldo,
proprio per la funzione ricoperta.
C’è poi un altro aspetto che deve aver convinto Francesco a rimuovere il decano,
troppo in vista e con una nomea che imbarazza la curia. Camaldo, infatti, in certi
ambienti della capitale – come è emerso nel corso di indagini della
magistratura – viene indicato con il soprannome di «Jessica». Avere al proprio fianco
un monsignore dal nomignolo femminile è impensabile.
Insieme a lui anche altri prelati e cardinali hanno nomignoli singolari. C’è «la
Beddazza», monsignore siciliano con la passione per lo champagne e i novizi; c’è «il
Pavone», vanesio cardinale del Nord Italia che si fa «coccolare» da un giovane e
bellissimo imprenditore che frequenta il Vaticano per motivi di lavoro; c’è «Monica
Lewinsky» e molti altri ancora. I tanti esponenti della cosiddetta lobby gay hanno
diminutivi, vezzeggiativi che li identificano a seconda dell’origine o dei gusti sessuali.
Per loro si muovono pregiudicati laici che, dopo il lavoro di tutti i giorni, la sera vanno
ad adescare giovani nei locali di Roma. Lo fanno per soddisfare i vizi degli alti prelati
che li proteggono. In cambio ricevono mance, carriere protette negli enti vaticani o in