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produzione. Addirittura, il Servizio fotografico de «L’Osservatore Romano», che ha l’esclusiva sulla vendita delle foto
del papa, chiude in passivo.
Una situazione ben conosciuta e mal tollerata all’interno della gerarchia ecclesiale.
Eppure da anni tutto rimane uguale, nessun cambiamento. Lo sottolineava nella riunione
del giugno 2013 anche Kyle, ricordando come non ci sia stato nelle varie commissioni
di lavoro «neanche un cardinale che abbia sostenuto l’attuale posizione di Radio
vaticana, tanto meno quelli rappresentativi dei paesi in via di sviluppo. Il segretario di
Stato ha cercato di intervenire ma con scarsi risultati. Bisogna bloccare le emissioni a
onde corte e farlo con determinazione».
Eppure i responsabili della radio si sono sempre opposti. Versaldi ricorda spesso con
sarcasmo quando gli amministratori dell’emittente cercavano di far passare «i
responsabili della Prefettura come business manager e non come uomini di Chiesa».
E in merito al costo del personale è durissimo l’intervento di monsignor Vallejo
Balda:
È evidente che alcuni aspetti di gestione abbiano gravi lacune e che i responsabili delle varie amministrazioni, incluso
padre Lombardi, ne siano perfettamente coscienti. Le installazioni della radio a Ponte Galeria sono ormai oggetti da
museo. I costi per sostenere il settore dei media corrispondono al 20 per cento di quelli complessivi della Santa sede.
Bisognerebbe quantomeno dimezzarli. Le analisi delle installazioni hanno riguardato anche le strutture di piazza Pia e
piazza Leone XIII. I responsabili del settore mediatico non sanno neanche quanti metri quadrati abbiano a
disposizione. Poiché l’Apsa, il più delle volte, si fa carico delle spese, probabilmente non c’è molta attenzione
all’ottimizzazione dei costi. Questi locali, infatti, potrebbero essere affittati e diventare una fonte di ricavi. Il
cambiamento più radicale, però, dovrebbe riguardare il personale. Ci sono circa 84 giornalisti che lavorano a
«L’Osservatore Romano» ma non sono tutti necessari. Si potrebbero quantomeno modificare i contratti, invece tutto
prosegue passivamente come negli anni precedenti. Benché il bilancio di quest’anno sia equilibrato, nasconde aspetti
poco convincenti, come l’aumento continuo del costo del personale.
Nell’autunno del 2013, con l’aiuto dei consulenti di McKinsey, le indagini di Cosea
avevano già fatto emergere i motivi della scarsa oculatezza negli investimenti per la
comunicazione, cuore nevralgico della diffusione pastorale ed evangelica. Furono
identificati quattro rischi sottoposti poi ai cardinali curiali:
Le risorse non bilanciate sono dedicate alla copertura delle diverse aree geografiche. Per Radio vaticana lo stesso
numero di risorse editoriali sono dedicate alla Francia e al Belgio (tre persone per circa 53 milioni di cattolici) e
all’Albania (altrettante persone per circa 0,3 milioni di cattolici). «L’Osservatore Romano»: le copie stampate per la
Polonia non recuperano pienamente i costi di stampa e spedizione (perdita di circa 1,5 euro/copia). È insufficiente la
gestione delle operazioni (come le politiche di outsourcing e la pianificazione della produzione): il 70 per cento delle
108
copie italiane del quotidiano «L’Osservatore Romano» vengono rese dalle edicole. La macchina da stampa
rotativa della Tipografia vaticana (usata per stampare «L’Osservatore Romano») risulta scarsamente utilizzata (solo
due ore al giorno). Vi è una duplicazione delle attività principali in svariati enti dei media (produzione di notizie, attività
digitali ecc.).
Il santo padre insisterà a lungo sulla riforma della comunicazione e sulla creazione del
cosiddetto Vatican Media Centre, studiato dal consigliere di Cosea, Francesca
Chaouqui. Agli inizi del gennaio 2014 la commissione fissa un intenso calendario
d’incontri con i responsabili delle diverse realtà editoriali. Il santo padre riesce così a
condividere con i porporati la creazione di un nuovo ente al fine di razionalizzare