Page 34 - Io vi accuso
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In banca come al discount
Meno fidi, più televisori
«Preferisco parlarti di persona, Vincenzo. Come sei messo domani
pomeriggio? Io vengo dalle tue parti, sei hai un’oretta per un caffè ti
racconto tutto e ti faccio vedere un po’ di cose.» La fonte, che è anche un ex
collega, ha cambiato idea durante la telefonata. Ci incontriamo a Napoli in
un bar della Galleria Umberto intorno alle sedici. È l’inizio di giugno del
2015, l’estate si affaccia anzitempo sul golfo. Il caldo prende alla gola. La
sera prima mi ha accennato solo qualcosa che riguarda la gestione della
clientela e delle pessime previsioni per il futuro del banking, del modo di
fare e intendere la banca. «È una situazione drammatica anche per noi che
stiamo dentro» mi dice prima di chiudere la chiamata.
Così preoccupato non l’avevo sentito neanche all’indomani del
fallimento di Lehman Brothers, evidentemente la situazione è davvero
seria. Siamo cresciuti professionalmente nello stesso periodo, abbiamo
cavalcato entrambi gli anni spericolati del sistema del credito drogato,
abbiamo venduto di tutto, sebbene in istituti differenti, polizze assicurative,
titoli spazzatura, derivati, diamanti così come imponevano le regole non
scritte di chi sta all’interno e vuole guadagnare soldi a discapito dei clienti.
Siamo tutti e due «figli» del Roe, del Return on equity, l’indice che esprime
la redditività del capitale: in pratica il sistema per il quale più guadagni da
un correntista e più i profitti per gli azionisti e i premi per i dirigenti della
banca si alzano.
Finiti i convenevoli, dal bar ci spostiamo nel mio studio: è evidente che
non ha voglia di parlare in mezzo ad altre persone. Forse preferisce evitare
che qualcuno del «giro» ci veda insieme. Dopo l’uscita di Io so e ho le prove
hanno imparato a riconoscermi, soprattutto gli ex colleghi. Nelle settimane
precedenti lo avevo avvisato che ero in procinto di finire il mio secondo