Page 49 - 101 storie di gatti
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                             DICKENS E WILLIAMINA




                             Ancora uno scrittore inglese e un iniziale difficile rapporto con il

          nostro amico felino, che presto però si trasformerà in un grandissimo amore. Ecco
          come sono andate le cose. Charles Dickens era un amante di cani e di uccellini, al
          punto che non voleva far entrare nella sua casa londinese nessun gatto. Nessuno,

          neppure per sbaglio, per paura che il micio desse la caccia ai suoi amici pennuti o
          che litigasse con il suo cane.
              Ma il destino cambiò le carte in tavola. E in questo caso il destino aveva le
          sembianze di un bel micetto bianco regalato a Mamie, la figlia dello scrittore:
          dapprima gli fu dato il nome di William, rapidamente cambiato in Williamina
          quando la gattina partorì dei piccoli.
              Accettata, ma non del tutto, da Charles Dickens, fu previsto che la cucciolata
          vivesse all’interno di una grande scatola in cucina insieme alla mamma. Williamina,

          però, aveva altri piani per lei e per i suoi piccoli: voleva l’affetto dello scrittore e
          desiderava vivere nel suo studio. Così tutta sola iniziò un faticoso trasbordo. Prese i
          piccoli uno per uno e dalla cucina li portò personalmente nello studio di Dickens,
          dove li depose in un angolino. Il padre disse subito a Mamie che i gattini non
          potevano rimanere dove lui scriveva e dovevano tornare in cucina. Così fu fatto: i

          gattini furono riportati al primo piano, nella grande scatola. Ma nessuno aveva fatto i
          conti con la volontà della bianca gattina che riprese i suoi piccoli uno per uno, li
          riportò nello studio e li adagiò ai piedi dello scrittore. La storia racconta che lo
          guardò con occhi imploranti e, di fronte a tanta tenacia, Dickens cedette. I piccoli
          poterono avere il privilegio di giocare con le scarpe e i fogli di carta appallottolati,
          arrampicarsi sulle tende e saltellare sulla scrivania mentre lo scrittore tentava di
          lavorare.

              Quando giunse il tempo tutti i gattini furono accasati. Tutti tranne uno, perché era
          sordo: non potendo accorrere ad alcun richiamo, non aveva ricevuto un nome e
          veniva semplicemente chiamato “il gatto del padrone” dato che era abituato a seguire
          passo passo lo scrittore e ad acciambellarsi accanto a lui quando scriveva o leggeva.
              Per mettere la parola “fine” a questa bella storia, non possiamo non raccontare
          questo tenero episodio: una sera, mentre tutta la famiglia era fuori casa invitata a un

          ballo, lo scrittore si accomodò a leggere un libro nel suo studio, accanto a lui il
          gattino sordo. D’improvviso la fiamma tremolò e si spense: troppo assorto nella
          lettura, Dickens la riaccese, senza far caso ai motivi del guasto, per immergersi
          nuovamente nel libro.
              Ma l’episodio si ripeté e la fiamma iniziò di nuovo a tremolare: lo scrittore alzò
          lo sguardo giusto in tempo per vedere il gattino che tentava di spegnere la candela
          con la zampetta. Non voleva che lo scrittore leggesse, voleva un po’ di attenzione
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