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                             IL GATTO CHE SE NE ANDAVA


                             DA SOLO DI RUDYARD


          KIPLING





          Nato in India, cresciuto in Inghilterra e ritornato in India, Rudyard Kipling, il

          famoso autore del Libro della giungla, buon conoscitore degli animali, ha scritto
          anche un libro sul gatto: Il Gatto che se ne andava da solo, proprio così, con la g
          maiuscola, in quanto progenitore di tutti i felini.
              È un libro breve, poco più di venti pagine, che racconta la voglia di

          indipendenza del gatto rispetto agli altri animali. Anche se alla fine anche lui, come
          il cane, ama moltissimo i focolari domestici. Ecco come Kipling ci racconta il suo
          gatto. Siamo nella preistoria, l’uomo vive allo stato brado, mentre la donna tenta di
          rendere la caverna più accogliente, cucina con il fuoco e cerca di fabbricare un
          giaciglio per dormire.
              Il suo primo “aiutante” sarà il cane, facilmente domato con il cibo, un osso e un

          rifugio: diventerà il primo amico dell’uomo e lo aiuterà nella caccia. Tocca poi al
          cavallo, con fieno falciato ed essiccato accanto al fuoco: lo potrà mangiare tre volte
          al giorno diventando il primo “servo” per il sostegno dato nel percorrere le lunghe
          distanze durante la caccia. Terza ad essere domata sarà la mucca, in cambio della
          buona erba: “colei che ci dà il buon cibo”. Praticamente la caverna era ormai al
          completo, mancava solo il gatto, che continuava a rivendicare la sua libertà
          ripetendo fino allo stremo: «Nemmeno per sogno! Io sono il gatto che se ne va da

          solo e tutti i luoghi sono eguali per me. Non verrò».
              Ma alla fine anche il gatto cedette alle richieste della donna, sia pure in modo
          diverso e dimostrando un’astuzia nuova: si rese utile con la caccia al topo e riuscì a
          placare il pianto del neonato della famigliola preistorica facendolo giocare, però non
          volle saperne di essere sottomesso come i tre precedenti animali.
              Sarebbe rimasto accanto al rifugio, avrebbe avuto del cibo, ma avrebbe anche

          conservato la sua autonomia.
              Per questo suo vantaggio pagò solo uno scotto nei confronti dell’uomo e del cane,
          che un po’ invidiarono e un po’ non apprezzarono la sua passione per la libertà: il
          primo ogni tanto gli tirava gli stivali; il secondo, di quando in quando, ringhiava.
              Ma il nostro amico ha conservato il patto con la donna: tiene lontani i topi, è
          gentile con i bambini finché non gli tirano la coda troppo forte, chiede il cibo, ma
          resta il gatto da solo e tutti i posti vicino casa sono eguali per lui.

              La conclusione Rudyard Kipling l’ha messa in rima:
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