Page 31 - 101 storie di gatti
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                             MYOBU NO OMOTO, LA


                             PREDILETTA


          DELL’IMPERATORE DEL GIAPPONE





          Siamo ancora in Oriente. Ma per la storia di una gattina addirittura “imperiale”

          dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Ci spostiamo in Giappone, nei primi
          decenni dell’anno Mille, quando l’imperatore Ichijo (vissuto tra il 980 e il 1011
          d.C.) aveva una micia alla quale aveva dato il nome di Myobu No Omoto, che
          significava “donna in attesa”: parole che indicano chiaramente che la micia aspettava

          spesso il padrone nelle sue stanze. Non c’è che dire: un nome abbastanza complesso
          che solo lui, forse, poteva pronunciare per intero.
              Myobu No Omoto era una gatta adorata al punto che – riferiscono le cronache –
          l’imperatore fece imprigionare il padrone di un cane che aveva osato darle la caccia.
          Ma a parte il fatto che aspettava il suo sovrano nella zona più remota e proibita del
          palazzo imperiale, e che probabilmente era una gatta viziatissima, perfino temuta e

          guardata con rispetto anche dai dignitari, non sappiamo nient’altro di lei. Forse non
          era molto diversa dai gatti giapponesi di oggi, dal pelo corto e con qualche macchia
          colorata sul corpo. Sicuramente, però, il suo taglio d’occhi era un po’ come quello
          del suo padrone: una gatta imperatrice con deliziosi occhi a mandorla.
              L’imperatore Ichijo non era il solo nel Paese del Sol levante ad amare così
          intensamente il suo gatto. Come lui e i suoi sudditi allora, ancor oggi i giapponesi
          hanno una specie di venerazione per i felini, al punto che il loro più caratteristico

          portafortuna è un gattino bianco con il braccio alzato, in una sorta di saluto o gesto di
          protezione. Un amuleto abbastanza comune, che ormai è arrivato in qualsiasi paese
          occidentale. Si chiama Maneki Neko, ovvero “gatto del benvenuto”: i giapponesi
          sono convinti che attiri benessere e buona sorte a chi lo mette in mostra.
              Secondo le tradizioni orientali, Maneki Neko non è l’animale di una favola, ma
          l’immagine di un gatto veramente esistito, che ha portato fortuna al luogo in cui

          abitava. La storia è questa: in un umile e povero tempio buddista viveva un gatto, di
          razza piuttosto comune ma molto, molto intelligente. Un giorno, mentre se ne stava
          alle porte del tempio, vide passare un gentiluomo a cavallo: cortese di natura, il
          micio gli fece con la zampetta un segno di saluto. Un gesto che colpì molto il
          viaggiatore, perché l’uomo scese da cavallo, si accostò al tempio e, viste le
          condizioni in cui vivevano i monaci, decise di aiutarli donando loro parte delle sue
          ricchezze. Non c’è dunque alcun dubbio: il gesto di saluto del gatto, almeno in quel

          caso, portò benessere ai suoi amici sacerdoti.
              E c’è anche una seconda versione della storia. Si narra che nel periodo Edo
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