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                             BUKOWSKI, IL POETA


                             VAGABONDO






          Sono Bukowski, o almeno così qualcuno mi ha chiamato, anche se in realtà avere

          un nome non mi interessa. Ho sempre vissuto per strada dove, vi assicuro, i nomi e le
          etichette contano poco. Bisogna possedere qualità di vario genere per riuscire a
          sopravvivere vagabondando e io, per fortuna, ne ho diverse che mi hanno sempre
          aiutato. La mia è una vita poetica, intrigante ed emozionante, dove tutto può accadere
          e dove, sicuramente, non c’è il rischio di annoiarsi. Si possono correre a volte seri
          pericoli, soprattutto quando si attraversano strade molto trafficate o ci si imbatte in

          qualche stupido (e non mi riferisco ai cani) che, per partito preso, odia la mia
          categoria e ci caccia in malo modo, ma basta farci l’abitudine e tutto si dimentica in
          poco tempo. La libertà, cari miei, non ha prezzo e vale molto di più di qualche
          piccolo inconveniente o della comoda vita del gatto di casa.
              Perché allora, date le premesse, ad un certo punto mi sono ritrovato a
          soggiornare per svariati mesi in un bell’appartamento al piano terra, con vaste

          terrazze arredate e due giovani badanti che mi riempivano di meravigliose scatolette
          e attenzioni? La domanda è così intrigante che non può essere liquidata in poche
          parole.
              Ricordo ancora quel pomeriggio di tarda e fresca primavera. Nell’intenso
          girovagare in cerca di cibo, quel giorno riuscii, dopo ripetuti e tediosi tentativi, a
          scavalcare un alto muro di cinta e mi ritrovai ad ammirare dall’alto una terrazza
          piena di fiori, divanetti con morbidi cuscini, tavolini, eccetera, eccetera. Niente mi

          era mai apparso, nella mia pur giovane esistenza da girovago, così affascinante.
          Dalle grandi portefinestra aperte arrivavano voci e musica, ma la cosa che mi
          convinse a scendere da quella postazione strategica fu l’odore. Il profumo inebriante
          di leccornie varie, appena sfornate, era irresistibile per una pancia vuota. Con
          circospezione cominciai a studiare il territorio. Era certo che cani non ce n’erano e
          quindi, almeno da quel punto di vista, si poteva stare tranquilli. Mi tenevo a debita

          distanza quando, all’improvviso, due ragazzi, chiacchierando, uscirono per
          imbandire la tavola sotto un ombrellone bianco. «Be’», disse il maschio
          guardandomi «e tu che ci fai qui?». La ragazza cercò subito di avvicinarmi con voce
          suadente. «Ciao bel gatto! Ma come sei conciato? Hai fame? Certo, che hai fame,
          guarda come sei secco». La voce mi sembrava abbastanza gentile, ma forte del
          vecchio motto “fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio” mi misi a scrutarli da un
          angolo lontano della terrazza. Insomma stavo sulle mie ma, gira che ti rigira, alla fine

          mi convinsero a mangiare uno splendido filetto di pesce senza lische su di una
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