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GIGOLÒ, IL GATTO PLAYBOY
Io sono una gattina di strada, una di quelle che tutti i giorni girano
per il quartiere. Probabilmente mi avrete incontrata tante volte e non ve ne ricordate
ma, state tranquilli, non mi offendo per questo. La mia vita, in fondo, non è così
interessante, è una vita come tante, se non fosse per una storia di qualche anno fa, una
storia d’amore che se ci penso ancora mi fa tremare il cuore. Ovviamente ero più
giovane e carina di oggi, ma anche meno esperta di certe faccende. Non mi lamento
del presente, per carità, anzi devo ammettere che sempre più persone mi portano da
mangiare e mi fanno delle carezze… Ma quei momenti, ah, che momenti! Ricordo
l’emozione che provai quando lo vidi la prima volta: il pelo magnifico, i baffi
meravigliosi che spiovevano sopra un muso di angelo con due occhi verdi come
smeraldo incastonato. E che stile… impossibile non notarlo. Anche tutte le mie
amiche rimasero sconvolte da quella meravigliosa apparizione. Se ne stava per i fatti
suoi, ma senza essere supponente o borioso, semplicemente si capiva che era assorto
nei suoi pensieri. Lo seguii per un po’ tenendomi a debita distanza. Fece un piccolo
giro intorno al palazzo e dopo pochi minuti rientrò dal portone aperto, salì le scale e
sparì. Il giorno seguente mi appostai su una vecchia auto parcheggiata proprio
davanti casa sua. Ero immobile in attesa. Finalmente uscì, bello come il sole. A quel
punto mi avvicinai e, rompendo ogni indugio, gli chiesi: «Sei nuovo di qua?».
«Sì»», rispose. «Sono arrivato da qualche giorno». Aveva una voce molto
sensuale. A quel punto tentai di mantenere viva quella conversazione improvvisata.
«Ti va di passeggiare un po’ insieme? Di questo quartiere conosco ogni più piccolo
dettaglio. Sai, ci sono nata e ho anche molti amici».
«Certamente, è un vero piacere. Io mi chiamo Gigolò e vivo nella nuova casa di
un musicista straniero, un compositore che suona il pianoforte tutto il giorno». Non
risposi, primo perché ormai non stavo più nella pelle e poi perché io non ho mai
avuto un nome. Cominciammo a camminare lentamente uno vicino all’altra.
A quel punto gli chiesi imbarazzata: «Ma tu puoi uscire quando vuoi?». «Be’,
diciamo di sì. C’è una piccola finestra che guarda sul pianerottolo e lui la tiene
sempre mezza aperta. L’unico problema è quando la sera il portiere chiude il
portone». «Non è un problema», risposi. «Basta aspettare e sicuramente arriva
sempre qualcuno che infila le chiavi e lo apre». Annuì, senza aggiungere altro, e
continuò a seguirmi. Lo portai nel piccolo parco del quartiere. Speravo gli piacesse.
Fu talmente felice di quel luogo, pieno di alberi e piante, che mi diede un piccolo
bacio e io per poco non morii d’infarto. Sotto una panchina, al tramonto, iniziò la
nostra storia d’amore. Per un mese ci vedemmo tutti i giorni e ogni volta era una
festa. Gigolò spesso mi cantava le melodie che il suo coinquilino inventava e io gli