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ROMEO, IL GATTO
DELL’ONOREVOLE
Sette anni fa, dopo la morte dell’amato Camillo, un gattone di dodici chili dal pelo
lungo e vellutato color argento, la famiglia di Maurizio decise di prendere un nuovo
micetto. Contattarono una signora, grande amante dei gatti, che aveva da poco avuto
una splendida cucciolata dalla sua micia. Dopo aver raccolto informazioni sul
carattere dei componenti della famiglia, la signora scelse fra gli otto cuccioli quello
più adatto. Fu così che un giorno questo strano esserino varcò la porta della casa.
Era piccolo, spennacchiato, secco e con lunghe zampe, con orecchie troppo grandi
per la sua testolina e un po’ stortignaccolo. Non era molto bello ma dopo pochi
minuti di convivenza Maurizio capì che quello era il gattino perfetto per loro. Era
temerario, socievole, buffo, affettuoso e tremendamente curioso. Si abituò dopo soli
due giorni alla sua coinquilina Nuvola, una splendida e dolcissima gatta a pelo lungo
che viveva lì da ormai sette anni. E allo stesso modo socializzò con Pollicina, una
micia piccola e tozza direttamente importata dalla Tunisia, che entrò a far parte della
famiglia un anno più tardi. Romeo (fu chiamato così) divenne in poco tempo il capo
banda e scelse come spalla Pollicina, mettendo in riga e maltrattando la povera
Nuvola. Solo con gli ospiti era dolcissimo. Ad ogni suono di campanello era pronto
a dare il benvenuto ad amici e sconosciuti con fusa, moine e miagolii vari. Nessuno
poteva varcare la porta di quella casa senza prima aver reso omaggi a sua maestà
Romeo.
Ma non sono ammesse distrazioni! Impossibile resistere a una porta di ingresso
accostata senza provare l’ebbrezza di una fuga improvvisa per le scale del palazzo,
per poi rientrare a testa alta come per dire: «Visto come sono stato coraggioso?».
Ma un cucciolo, si sa, ha bisogno di mille attenzioni. Per Romeo era impensabile
rispettare la passione dei padroni e degli ospiti per il gioco delle carte senza salire
puntualmente sul tavolo a disturbare, pretendendo di essere accarezzato e prendere
parte al gioco. E quando le luci venivano spente, dove pensate che se ne andasse a
dormire il piccolo Romeo, nella sua cuccia? Neanche per sogno! Era sua abitudine
salire sul lettone, svegliare i padroni e con un dolce tocco della zampina chiedere
che gli venisse sollevata la coperta per infilarsi sotto le lenzuola al calduccio.
Ma la notte è lunga e qualche volta Romeo era desideroso di esperienze
emozionanti capaci di interrompere il sonno dell’intera famiglia. Capitava così di
trovarlo il mattino seguente su mensole o armadi, fiero delle sue doti di scalatore,
oppure lo si coglieva in flagrante a inseguire e picchiare le due malcapitate gattine
per ricordare loro chi fosse il boss indiscusso (magari alle sei del mattino). Ma