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IL PRINCIPE CAPOCCIONE
Il titolo in realtà è una mezza verità, capoccione sì, ma di umili
origini. Il destino lo ha voluto un abitante della campagna, alle porte di Roma, in
località Colle del Principe, appunto, tra Palestrina e Gallicano. In quanto a
capoccione era capoccione, sia per la sua caparbietà che per le sue dimensioni che
ricordavano quelle di un cucciolo di pantera. Un bel gattone nero dal pelo
lucidissimo finito su uno spicchio di collina.
Non so se sia una caratteristica che appartiene a tutti i gatti di campagna, ma in
lui si scorgevano i tratti di una affettività voluta e al contempo inespressa. I primi
tempi inavvicinabile, insieme ai suoi fratellini deliziava le cene all’aperto con
infiniti inseguimenti, fino al di sopra dei filari di vite che ancora oggi circondano la
casa di campagna di Daniele. Erano gli anni della gioventù, gli anni nei quali si
cantava per ore intorno a un amico che suonava la chitarra, gli anni nei quali il vino
in bottiglia quasi non esisteva e si andava cercando il vino “sincero” del contadino.
Tra i tanti ospiti felini inattesi che popolavano, soprattutto durante l’estate, Colle
del Principe, l’unico che, al di là dell’interesse per il cibo tentava, senza neanche
troppo convinzione, di entrare in relazione con noi era proprio lui: il Capoccione,
così battezzato dal padre di Daniele. Per un gatto di campagna l’opportunità di
approfittare di un po’ di pasta avanzata o del grassetto di una bistecca cotta alla
griglia è una gran bella occasione visto che insetti, lucertole, topolini, (quando
andava di lusso) non bastavano a soddisfare i bisogni alimentari di un felino di tale
stazza. Nel paese di Daniele, fortunatamente, c’era e c’è la libera circolazione, solo
un vicino brontolone non ha mai voluto saperne di aderire al Trattato felino di
Schengen, e purtroppo si rendeva protagonista di azioni al limite della denuncia.
Fu così che il Capoccione, in occasione di migrazioni feline, che di volta in volta
andavano da un giardino all’altro, ebbe l’occasione di incappare in una famiglia
progressista e solidale che dava ospitalità anche a quei gatti che più volte si
dimostravano incapaci di tenere a bada la loro aggressività e prepotenza: per non
farli litigare al momento dei pasti, Daniele utilizzava i resti del cibo dividendoli in
diversi piatti di plastica in modo tale da evitare che tutti insieme si azzuffassero per
mangiare.
Il Capoccione si distingueva per modo di fare spesso sospetto, che faceva
pensare che avesse consumato uno spuntino altrove. Con gli anni il micione,
forastico per eccellenza, si abituava sempre di più alla presenza umana e Daniele e
la sua famiglia vivevano come un successo l’averlo anche solo sfiorato. Lui avrebbe
voluto essere accarezzato, ma non ce la faceva proprio. Con il trascorrere del tempo
capitava anche di ritrovarselo tra le gambe, mentre innaffiava l’orto o leggeva un