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dalle mie raccomandazioni), si fece avanti e disse: «Io non ho paura. Ci penso io. La
lasci pure nel trasportino». E si infilò un paio di guanti usa e getta. Aprì con
delicatezza la chiusura lampo del trasportino, che era nero e, nonostante le reti
laterali, non lasciava intravedere niente. Mi rendevo che conto che Céline rimaneva
immobile. La ragazza mise le mani all’interno con tranquillità e, con un improvviso
balzo all’indietro urlò: «Questo non è un gatto! Questa è la Tigre della Malesia!».
Tutti si girarono a guardare, ma nessuno osò chiedermi di tirarla fuori. E ci
lasciarono passare. Raccomandati! Finalmente arrivati, Céline, con il suo bel
collarino rosso e molta circospezione, si era messa davanti alla porta di casa davanti
al mare, sull’erba, accovacciata, e io vicino a lei. Due guardie private passavano al
confine del giardino condominiale e, girando a semicerchio, continuavano a
guardarla, e lei guardava loro che le giravano intorno, come le lancette di un
orologio. Alla fine del percorso uno dei due mi fissò, mi puntò un dito accusatorio e
disse: «Però questo non è un gatto!». Io e Céline tornammo a guardare il mare,
ignorandolo.