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ROBERT MICIUM, IL GATTO
ATTORE
Robert Micium era un gatto nato attore e su questo, ancora oggi, non ho alcun
dubbio. E mai nome, nato dalla passione per le vecchie pellicole, fu più appropriato.
Quando lo incontrai per strada non sembrava provato dal vagabondaggio; aveva il
pelo bianco e nero, sporco e incolto, ma la sua recita, fatta di moine e teneri passaggi
tra le gambe, fu talmente credibile e perfetta che non mi ha lasciato scelta. Durante
quel sabato pomeriggio d’inverno si insediò nella mia casa e le raffinate
rappresentazioni teatrali ebbero inizio. Il ruolo preferito era quello dell’ignavo e
devo ammettere che gli riusciva veramente bene. Delle sue capacità cominciai ad
accorgermene, però, soltanto dopo un po’ di mesi di convivenza. Se prima di uscire
chiudevo la porta della camera da letto, dove non volevo che Robert Micium
entrasse, al mio ritorno la trovavo aperta. Non riuscivo a capire come fosse
possibile e cominciai a dubitare fortemente della mia capacità mnemonica. Avevo
qualche sospetto su Robert, è chiaro, ma lo ritrovavo sempre innocentemente
acciambellato sul suo cuscino e mai sul letto. Inoltre, pensare che potesse aprire
abilmente le porte del bagno, dello studio e via dicendo, tirando le maniglie,
sembrava francamente impossibile. Però un evento, provocato dalla troppa
ingordigia, un giorno lo smascherò. All’epoca, tra la fine degli anni Settanta e
l’inizio degli Ottanta, non esistevano i cellulari e tanto meno i cordless, ma c’era
solo un telefono con la spina che di solito veniva sistemato al centro
dell’appartamento. Qualsiasi cosa tu stessi facendo, se ricevevi una telefonata eri
costretto ad abbandonare ogni mansione per correre a rispondere.
Quella sera aspettavo degli amici a cena e, tra le varie pietanze, decisi di
cuocere dei petti di tacchino al formaggio (cosa che oggi non farei più, visto che da
più di trenta anni sono un felice vegetariano), mentre nel forno un polpettone di
verdure e riso era ormai pronto. Robert Micium stava mangiando nella ciotola i suoi
bocconcini in scatola preferiti mentre io allineavo la carne sul tavolo per farcirla a
dovere prima di passarla in padella.
Lo squillo improvviso del telefono interruppe l’attività culinaria e io mi
precipitai in salotto. Una conversazione di lavoro alle otto di sera porta via almeno
un quarto d’ora e non hai nessuna possibilità di procrastinarla perché l’interlocutore,
all’altro capo del filo, ha sempre una grande fretta di ottenere risposte immediate che
lo facciano andare a dormire tranquillo.
Di ritorno in cucina la situazione che mi si presentò davanti agli occhi fu la
seguente: sul tavolo le quattro fette di tacchino erano sparite e il gatto, seduto sullo