Page 7 - Morella
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tuirono per tanto tempo l’unico terreno di conversazione
fra Morella e me. Quanti sono addentro in quella che
potrebbe chiamarsi la morale teologica riusciranno a im-
maginarseli facilmente; gli ignoranti non arriverebbero a
capirne mai abbastanza, in ogni caso. Lo strano pantei-
smo di Fichte, la palingenesi modificata dei pitagorici, e
soprattutto la dottrina dell’identità come ci viene pre-
sentata da Schelling, erano generalmente i punti che
presentavano maggiore attrattiva alla immaginativa Mo-
rella. Locke qui sembra, con giusto criterio, asserire che
codesta identità, così detta personale, consiste nella per-
manenza dell’essere razionale. Dato che per persona in-
tendiamo una essenza intelligente che possiede la ragio-
ne, e dato che esiste una coscienza che accompagna
sempre il pensiero, è questo appunto che ci fa essere tut-
ti quello che chiamiamo noi stessi, e che ci mette in gra-
do di distinguerci dagli altri esseri pensanti, che ci dà,
insomma, la nostra identità personale. Ma il principium
individuationis, la cognizione di quella identità che alla
morte è o non è perduta per sempre, fu per me in ogni
tempo un problema del più intenso interesse; non tanto
per la natura inquietante e allettante delle sue conse-
guenze, quanto per il modo singolare e agitato col quale
ne parlava Morella.
Ma, in verità, era giunto il tempo in cui il mistero dei
modi di mia moglie mi opprimeva come un incantesi-
mo. Non potevo più sopportare il contatto delle sue dita
diafane, né il timbro profondo della sua parola musicale,
né il lume dei suoi occhi malinconici. Ella capiva tutto
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