Page 11 - Morella
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re, e nella severa clausura di casa mia vegliavo con an-
sia mortale su tutto ciò che riguardava la mia adorata.
Passavano gli anni, e nel contemplare giorno per gior-
no il suo volto santo, dolce ed eloquente, nel ponderare
sullo svolgersi della sua forma, andavo scoprendo nuovi
punti di rassomiglianza tra la figlia e la madre, la malin-
conica morta. E queste ombre prendevano sempre più
consistenza e diventavano sempre più piene; definite,
inquietanti e più orridamente terribili nel loro aspetto.
Potevo sopportare che il sorriso di mia figlia rassomi-
gliasse al sorriso di Morella; ma rabbrividivo alla troppo
perfetta identità; potevo tollerare che gli occhi di mia fi-
glia fossero uguali a quelli di Morella: ma troppo spesso
penetravano negl’intimi recessi dell’anima mia con la
stessa intensità e lo stesso significato inquietante di
quelli di Morella. E nel contorno della sua fronte alta,
nelle ondulazioni della sua capigliatura di seta e nelle
dita diafane che vi si immergevano, nel tono grave e ar-
monioso della sua parola e soprattutto – oh, soprattutto
– nelle espressioni e nelle frasi proprie alla morta che ri-
nascevano sulle labbra della vivente e adorata, io trova-
vo alimento per un pensiero e un orrore divorante; un
verme che non voleva morire.
Passarono così due lustri della sua vita e mia figlia
era ancora senza nome sulla terra. “Figlia mia” e “amore
mio” erano gli appellativi che mi suggeriva il mio affet-
to di padre, e la rigida reclusione della sua esistenza
escludeva ogni altra relazione. Il nome di Morella era
morto con Morella al momento della sua morte. Alla fi-
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