Page 48 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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passando nel mezzo, come sotto un arcobaleno, sorvolando la giungla dove sono
nascosti i vietcong i quali mirano dritto alle pale dell’elicottero. Puoi perfino capire
perché questa guerra è una guerra diversa da ogni altra guerra che hai studiato a
scuola, e perché dicono che non ha un fronte preciso, che il fronte è dovunque. Il
mitragliere dietro di te s’è abbassato sulla mitraglia e spara raffiche contro una
macchia da cui è partito un colpo appena avvertito. Sembra il personaggio di un
western dove i bianchi sparano dal vagone agli indiani. Anche allora i bianchi
tenevano in pugno un Paese di cui possedevano solo qualche fortino, e per andare da
fortino a fortino bisognava ammazzare o venire ammazzati. Sostituisci alla parola
«fortino» la parola «base aerea», alla parola «indiani» la parola «vietcong», alla
parola «vagone» la parola «elicottero»: ed ecco il Vietnam. Ecco il nostro viaggio a
Dak To, con quel poverino che geme. Siamo a Dak To. Un campo militare con una
pista nel mezzo, bucata dai mortai di stanotte. Decine di elicotteri e aerei che
decollano o atterrano in una tempesta di polvere rossa, un fragore che spacca gli
orecchi. Centinaia di camion e di jeep che trasportan soldati dalla barba lunga e lo
sguardo stanco. Postazioni di artiglieria che vomitano cannonate ogni trenta secondi
facendo tremare la terra e il tuo stomaco. Eppure come doveva esser bello il
Vietnam quando non c’era la guerra. I monti dove ora si muore son blocchi di giada e
smeraldo, il cielo dove ora schizzan le bombe è una cappa color fiordaliso, e il
fiume che ora serve a spegnere gli incendi ha un’acqua così limpida, fresca. Come
doveva essere facile sentirsi felici quaggiù, andando a pescare sulle rive, a
passeggiare nei boschi. 8