Page 46 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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intero  popolo  di  creature  giovani,  sane,  col  cuore  a  posto.  E  l’ira  mi  avvolse

          penetrandomi sotto la pelle, bucandomi fino al cervello, e promisi di scrivere questa
          incoerenza, e da questa incoerenza crebbe un diario.          7


          LUNEDÌ MATTINA. La tragedia incomincia con la paura. E la paura incomincia appena
          sali  sul  cargo  militare  che  ti  conduce  alla  zona  del  fuoco  insieme  ai  soldati  che
          tacciono in un rassegnato silenzio. Ieri un cargo come questo è precipitato, sembra

          per un sabotaggio, e nessuno ha fatto in tempo a usare i paracadute con cui dovremo
          buttarci se saremo colpiti. Del resto, il paracadute a che serve? Mentre cali a terra ti
          sparano,  voliamo  su  una  regione  che  pullula  di  vietcong.  Fa  caldo,  sudi.  Anche
          perché  il  soldato  accanto  ti  fissa  da  almeno  mezz’ora  scuotendo  la  testa  e  poi,
          cercando di superare il rombo dei motori, ti grida: «Sei giornalista?». «Sì.» «E il
          lungo con te è un fotografo?» «Sì.» «Andate a Dak To?» «Sì.» «Idioti, chi ve lo fa
          fare?» Te lo chiedi anche tu, all’improvviso. Hai superato tanti ostacoli per arrivare

          fin  qui,  visti  permessi  burocrazie,  e  all’improvviso  vorresti  esser  mille  miglia
          lontano dove la guerra è solo una parola, una fotografia sul giornale, una immagine
          alla televisione. Provi a scherzare, la voce ti suona falsa: «Moroldo, ci pensi alla
          faccia dell’ambasciatore quando gli consegnano i nostri cadaveri?». Per raggiungere
          Dak To abbiamo firmato un foglio con cui sdebitiamo le forze armate e il governo
          degli  Stati  Uniti  della  nostra  possibile  morte,  e  in  fondo  al  foglio  c’era  questa

          domanda:  «A  chi  dovrà  essere  consegnato  il  vostro  cadavere?».  Presi  alla
          sprovvista, abbiamo scritto: «Ambasciata italiana a Saigon». Moroldo brontola che
          lo disturba solo un particolare: l’intera faccenda è avvenuta di venerdì 17. Anche le
          uniformi le abbiamo prese di venerdì 17, ma bando alle spiritosaggini: in poco più
          di  due  anni  sono  morti  dieci  giornalisti  in  Vietnam.  Ricordiamoli,  non  lo  fa  mai
          nessuno. Maggio 1965, Pieter Ronald Van Thiel: ucciso dai vietcong a sud di Saigon.
          Giugno 1966, Jerry Rose: precipitato con l’aereo colpito da una cannonata a Quang

          Ngai.  Ottobre  1966,  Bernard  Kolenberg:  precipitato  con  un  caccia  sulla  zona
          demilitarizzata. 1966, Huynh Thanh My: ucciso in battaglia a Can Tho. Novembre
          1966,  Dickey  Chapelle:  saltata  su  una  mina  a  sud  di  Da  Nang.  Novembre  1966,
          Charlie  Chellapah:  disintegrato  da  un  mortaio  a  Cu  Chi.  Dicembre  1966,  Sani
          Castali:  ucciso  in  combattimento  nelle  pianure  centrali.  Febbraio  1967,  Bernard

          Fall:  sventrato  da  una  mina  nella  foresta  di  Hué.  Marzo  1967,  Ronald  Gallagher:
          ucciso  per  errore  dall’artiglieria  americana  nei  pressi  di  Saigon.  Maggio  1967,
          Felipa Schiller: mitragliata sull’elicottero che la portava a Da Nang.
               Di feriti, quest’anno, ce ne sono stati una trentina. Ieri a Saigon ho conosciuto
          Catherine  Leroy,  fotografa  francese.  Ha  ventitré  anni,  il  braccio  destro,  la  gamba
          destra,  la  parte  destra  del  volto  coperti  di  cicatrici,  e  cammina  zoppa.  Lo  scorso

          maggio, durante un combattimento al 17° parallelo, le scoppiò accanto un colpo di
          mortaio. È stata tre mesi in ospedale, dal corpo le hanno tolto diciotto schegge, ma al
          piede la ferita continua a riaprirsi, riaprirsi, e i medici non sanno più cosa fare. Le
          ho chiesto: «Perché non torni a casa, Catherine?». Ha sorriso senza rispondermi. Che
          strani  tipi  questi  miei  colleghi  in  Vietnam.  Alcuni  sono  fior  di  giornalisti  e
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