Page 39 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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sempre con un manto arancione, si rasa il cranio come Yul Brynner e porta baffoni
alla Gengis Khan. C’era Le Roi Jones, drammaturgo, poeta, razzista arrabbiato, che
usa scrivere e dire: «La razza bianca è un cancro e come ogni cancro essa va
estirpata». C’erano i mussulmani neri di Cassius Clay; e fra questi il gruppo che
ammazzò Malcolm X: insomma gli esponenti più cupi di quel razzismo nero che
ormai non ha da invidiare il razzismo nazista o il razzismo del Ku Klux Klan.
L’unica differenza è che loro, nei campi di concentramento, vorrebbero mandarci i
biondi. E i linciaggi vorrebbero farli sui bianchi.
Quattro giorni di congresso bastarono a infliggere un colpo durissimo al nobile,
intelligente lavoro di Martin Luther King. Per prima cosa, infatti, cacciarono i
giornalisti bianchi annunciando che d’ora innanzi non li avrebbero ammessi
nemmeno alle conferenze stampa. Per ultima cosa compilarono, alla unanimità, il
seguente ordine del giorno: «Abolire la parola “negro”, inventata dai bianchi, e
sostituirla con la parola “nero” o “afroamericano”. Boicottare senza pietà i
movimenti neri, le Chiese nere, i cittadini neri che non aderissero al concetto di
rivoluzione nera. Boicottare i negozi, i produttori, gli acquirenti di lozioni per
lisciare i capelli, di creme per schiarire la pelle. Boicottare i giochi olimpici
ritirando dalle competizioni del 1968 tutti i pugili neri. Fondare università di
professionisti rivoluzionari che provochino sommosse su base nazionale. Instaurare
vacanze nazionali in onore di eroi neri come Malcolm X. Rifiutare e combattere il
controllo delle nascite, inventato dai bianchi per sterminare la razza nera; aumentare
con ogni sistema l’incremento della popolazione nera. Rifiutare in ogni circostanza il
richiamo alle armi col grido: hello, no, I won’t go, all’inferno, no, non andrò.
Impegnarsi in uno sforzo di massa per provocare in America un crack finanziario.
Dividere gli Stati Uniti in due Paesi distinti, uno per i bianchi e uno per i neri.
Incrementare le sommosse, il separatismo, la rivolta nera».
L’ordine del giorno cadde come benzina sul fuoco. Come ha detto il governatore
Rockefeller, quando un bambino negro vien portato all’ospedale col naso e gli
orecchi morsi dai topi che infestano la sua casa, la famiglia di questo bambino perde
qualsiasi speranza nella società in cui vive. E non basta mettere sull’altro piatto
della bilancia la realtà che i negri d’America costituiscono il gruppo
economicamente più prosperoso fra tutte le popolazioni non bianche del mondo:
anche quando guadagnano poco, guadagnano infinitamente di più di un negro in
Africa, in Asia, in Sudamerica. Non basta ricordare che la povertà di un congolese,
di un boliviano, di un indiano, di un arabo è mille volte più tragica della povertà di
un negro americano: anche in un tugurio infestato dai topi, il negro americano ha il
televisore, il telefono, il frigorifero, una assistenza sociale sconosciuta a un
congolese, a un boliviano, a un indiano, a un arabo. Non basta nemmeno riconoscere
che un negro di Newark, di Detroit, sta sempre meglio di un bianco che abita in
Appalachia, la regione degli Stati Uniti dove si muore letteralmente di fame, e le
case sono senz’acqua, senza luce elettrica. Non basta perché l’avvilimento del negro
americano è anzitutto e soprattutto un avvilimento psicologico. Risale ai tempi di una
schiavitù mai dimenticata e per cui egli sente ancora il bisogno di vendicarsi. Non