Page 35 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
P. 35
«Sembra di vedere le nostre città frantumate dai bombardamenti dell’ultima guerra
mondiale.»
DETROIT, LUGLIO. I carri armati avanzano con le mitraglie puntate, sparando persino
alle ombre, a tutto ciò che si muove. «Se qualcuno o qualcosa si muove,» dice il
colonnello Herman Streensa «prima spariamo e poi chiediamo cos’è.» La truppa
procede inesorabile lungo le macerie e i muri, basta che un filo di vento sollevi un
pezzo di carta perché i colpi dei fucili automatici risuonino secchi. Ma non sempre si
tratta di ombre, di pezzi di carta: i franchi tiratori si annidano nelle cantine, dietro le
finestre, sui tetti. La battaglia non accenna a finire. Un ragazzo giace immobile sul
marciapiede e la sua testa fracassata è una maschera nera di sangue. Stamane non
c’era. Una donna ciondola dal quarto piano come un pupazzo semitagliato in due, una
raffica l’ha presa al torace. Stamane non c’era. Stamane è morta anche una bambina
negra di quattr’anni, il colpo le è andato dritto alla tempia. E poi è morta una ragazza
in un motel, la pallottola è entrata dai vetri. Dopo quattro giorni di rivolta, i morti
sono trentasei. Il generale Throckmorton, comandante del Diciottesimo corpo aereo
spedito da Johnson, ha deciso di adottare la tattica che s’usa in Vietnam: lui la usava
in Corea. Elicotteri, spiega, ci vogliono gli elicotteri. Perquisire le case non basta, e
Dio sa quante ne ha perquisite. Ogni tanto una pattuglia arriva di corsa, spalanca a
pedate una porta, maltratta gli abitanti della casa, mani alzate, testa contro il muro, li
perquisisce. Ma le armi e i ribelli non si trovano mai. Escono fuori quando la
pattuglia è partita.
Settecentotrentun incendi in tre giorni, oggi ne sono scoppiati altri cento. Fumate
scure, oleose, si alzano al centro della città: novecentocinquanta edifici sono andati
distrutti. Di alcuni non rimane più nulla fuorché un mozzicone lungo o lo scheletro di
una facciata, sembra di vedere le nostre città frantumate dai bombardamenti
dell’ultima guerra mondiale, non a caso il sindaco Cavanagh ha detto: «Detroit
ricorda la Berlino del 1945». Nei quartieri ancora in piedi lo sguardo vaga smarrito
sui negozi distrutti, le vetrine fatte a pezzi, la merce abbandonata, calpestata. Quando
i negri del ghetto non appiccavano il fuoco con le bottiglie Molotov, prendevano
d’assalto i negozi e razziavano. A caso. Quello che c’era. Magari per poi buttarlo
via. Hanno visto un bambino che entrava e usciva dalla vetrina di un fioraio con le
braccia piene di gladioli, di crisantemi, di rose: poi li gettava per terra e ci saltava
sopra. Hanno visto un tipo ben vestito, dall’aria perbene, che dopo aver preso una
Pontiac nuova nuova l’ha riempita tranquillamente di scarpe, camicie, cappelli. Una